Alla vigilia dei referendum dell’8 e 9 giugno, mentre il dibattito pubblico si perde nei soliti slogan, i dati raccontano un’altra storia: una storia fatta di tribunali intasati e contenziosi crescenti. Secondo l’analisi pubblicata su Lavoce.info da Francesco Armillei, la litigiosità in materia di licenziamenti è tornata a livelli preoccupanti, toccando nel 2024 il picco di 1,6 nuove cause ogni cento licenziamenti. Il valore più alto dell’ultimo decennio, superiore persino al dato del 2014, quando il sistema era considerato tra i più inefficienti d’Europa.
L’inversione di tendenza
Per comprendere la portata del fenomeno basta osservare i numeri: nel 2014 erano iscritti oltre 105mila nuovi procedimenti in materia di lavoro, con 207mila cause pendenti e una durata media di 418 giorni per definire un contenzioso. Dieci anni dopo, grazie alle riforme introdotte tra il 2012 e il 2015 – in primis il Jobs Act – i procedimenti pendenti sono scesi a 80mila e la durata media è crollata a 296 giorni. Sembrava una vittoria della razionalizzazione normativa.
Eppure, nella sezione più delicata – quella relativa ai licenziamenti individuali e collettivi – la curva ha ripreso a salire. Dal 2021 il numero di nuovi procedimenti cresce anno su anno. Nel 2024 ha segnato un +15% rispetto al 2023 e un +43% rispetto al 2022, mentre il numero assoluto di licenziamenti si è ridotto al minimo storico: 680mila, il livello più basso degli ultimi vent’anni.
Il risultato? Più cause a fronte di meno licenziamenti. Con l’effetto paradossale che oggi è più probabile finire in tribunale dopo un licenziamento rispetto a un decennio fa.
Le ragioni della nuova litigiosità
La radice di questa inversione va ricercata – spiega Armillei – negli interventi della Corte costituzionale tra il 2019 e il 2024. Le sentenze hanno progressivamente smontato la rigidità del Dlgs 23/2015, eliminando l’automatismo nella determinazione dell’indennizzo e restituendo ai giudici una vasta discrezionalità nel decidere tra reintegra e indennizzo.
Il principio sembrerebbe ispirato alla tutela del lavoratore, ma il risultato è una giungla normativa in cui nessuna delle parti ha certezze. Perché se ogni licenziamento diventa un salto nel buio e la decisione dipende dal singolo giudice, le imprese vedono aumentare i rischi e i lavoratori, in assenza di tutele chiare, si affidano sempre più spesso alla causa legale.
Uno studio pubblicato sul Journal of Labour Economics – sempre citato da Lavoce.info – documenta come la lentezza e l’incertezza dei giudizi sui licenziamenti riducano la capacità delle aziende di assumere nuovo personale, alimentando precarietà e stagnazione.
Un referendum decisivo
I referendum in programma puntano a ristabilire un quadro di maggiore certezza nei rapporti di lavoro. Votare sì significherebbe riportare ordine nella disciplina dei licenziamenti, riducendo la discrezionalità giudiziaria e restituendo a lavoratori e imprese regole comprensibili e applicabili senza dover passare per un’aula di tribunale.
Non è un dettaglio. L’alto tasso di litigiosità è un freno per l’intero mercato del lavoro: rende più difficile licenziare, certo, ma anche assumere. Perché chi rischia un contenzioso lungo e incerto evita di creare nuovi posti di lavoro, preferendo contratti atipici o collaborazioni a tempo.
L’idea che norme troppo elastiche aiutino i lavoratori è una mistificazione. Al contrario, alimentano l’incertezza e avvantaggiano solo avvocati e consulenti. Chi lavora e chi produce ha bisogno di regole chiare e tempi certi.
Cosa c’è in gioco con il referendum
L’Italia non può permettersi di tornare indietro. Abbiamo pagato a caro prezzo un sistema inefficiente, in cui pendono per anni contenziosi che avvelenano il clima delle relazioni industriali. Le riforme del passato hanno iniziato a correggere il tiro, ma la deriva degli ultimi anni minaccia di cancellare i progressi fatti.
Votare al referendum significa anche scegliere se vogliamo un mercato del lavoro fondato sulla certezza del diritto o sull’arbitrio delle aule giudiziarie. Significa decidere se continuare a lasciare che ogni licenziamento si trasformi in una causa o restituire dignità alle relazioni tra datore di lavoro e lavoratore.
Domenica e lunedì non si vota solo su un pezzo di legislazione: si vota su come vogliamo che funzioni il lavoro in questo Paese. Se vogliamo meno precarietà e più giustizia, senza illusioni ideologiche.