La morte di Laura Santi ha posto, ancora una volta, una domanda precisa alla politica italiana: chi difende davvero il diritto a decidere sul proprio fine vita? Nel messaggio lasciato prima di autosomministrarsi il farmaco letale, Laura ha chiesto ai vivi di non fermarsi al dolore: “Pretendete una buona legge, che rispetti i malati e i loro bisogni”. È a partire da questa frase che il mondo politico si è misurato con la propria coerenza, le proprie omissioni e la qualità delle risposte.
Dal fronte progressista: il nodo della responsabilità
Emma Bonino, che da anni denuncia l’immobilismo legislativo, ha parlato di “una donna libera e coraggiosa, lasciata sola dallo Stato”. Più ancora, ha aggiunto: “In un Paese civile non si deve arrivare alla Corte Costituzionale per esercitare un diritto”. Un’amara constatazione che trova eco nelle parole di Marco Cappato, da sempre in prima linea: “Laura è morta legalmente, ma dopo anni di battaglie giudiziarie. È assurdo che ci sia voluta una sentenza della Consulta e un pronunciamento del Tribunale per affermare ciò che dovrebbe essere ovvio”.
Dal Partito Democratico, Elly Schlein ha definito la vicenda “una ferita che interpella profondamente la politica”, sottolineando che “Laura Santi ha chiesto una cosa semplice: libertà. Ed è nostro dovere ascoltarla”. Netta la posizione della capogruppo al Senato, Cecilia D’Elia: “Chiudere gli occhi e non legiferare significa lasciare soli i più fragili. Serve subito una legge sul fine vita, che sia all’altezza della dignità di ogni persona”.
Dura anche la reazione di Nicola Fratoianni (AVS): “Una sconfitta per lo Stato. Un Parlamento che non riesce a dare una risposta concreta a chi soffre sceglie l’indifferenza”. Angelo Bonelli ha aggiunto: “Laura non ha chiesto la morte. Ha chiesto di essere libera. E questa libertà deve diventare un diritto riconosciuto”.
Dal Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte ha dichiarato che “Laura Santi ha lasciato una testimonianza di grande forza civile. La politica ha il dovere di non rimanere in silenzio”. Antonio Federico, capogruppo M5S in commissione Affari Sociali, ha ribadito la necessità di una legge “giusta, che non imponga a nessuno una sofferenza insopportabile e che rispetti la volontà di ciascuno, nel pieno delle proprie facoltà mentali”.
Dal governo, prudenza e restrizione
Il ministro della Salute Orazio Schillaci ha espresso cordoglio per la scomparsa di Laura, ribadendo però che “il tema del fine vita è molto complesso e va affrontato con equilibrio”. Nessun riferimento diretto alla richiesta di legge, né alla possibilità di rivedere l’impianto del disegno normativo attualmente in discussione. Una cautela che si è tradotta, negli atti parlamentari, in un testo restrittivo, sostenuto dalla maggioranza di centrodestra, che limita il suicidio medicalmente assistito ai soli pazienti in condizioni terminali e con trattamenti salvavita in corso.
Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, ha dichiarato: “La vera sfida non è facilitare la morte, ma accompagnare i malati”. Parole già ascoltate, che rimandano a un modello assistenzialista in cui la volontà individuale resta secondaria. Il testo di legge promosso dal centrodestra escluderebbe casi come quello di Laura Santi. A ricordarlo è stata lei stessa, pochi giorni prima di morire: “Con quella proposta, io non avrei avuto diritto a nulla. L’avrei subita”.
Maurizio Gasparri ha ribadito la posizione di Forza Italia: “Siamo contrari al suicidio assistito. Non possiamo legalizzare la cultura dello scarto. Bisogna potenziare le cure palliative e l’assistenza domiciliare”. Posizioni analoghe sono arrivate da Fratelli d’Italia, che rivendica la linea della “difesa della vita in ogni sua fase” e definisce le scelte individuali come “derive”.
La legge promessa, la legge negata
La Commissione Affari Sociali della Camera ha licenziato un testo che di fatto restringe le maglie già strette della sentenza 242/2019. Esclude i malati non terminali, ignora chi vive dipendenze cliniche non meccaniche, non definisce tempi certi per le valutazioni delle ASL, e affida ogni decisione finale a un comitato etico non vincolante. È questa la “risposta normativa” che si intende dare alle parole di Laura?
In un Paese dove la Corte costituzionale ha aperto uno spiraglio già nel 2019, sei anni fa, il vuoto legislativo è diventato un atto politico. E la scelta di Laura Santi ha messo a nudo quel vuoto. Alcuni hanno ascoltato. Altri continuano a voltarsi dall’altra parte.