Regionali: centrosinistra compatto, destre impantanate. La narrazione sovranista si infrange nello scontro di potere tra i partiti della maggioranza

Centrosinistra con candidati già scelti, centrodestra in stallo su Veneto Campania e Puglia: il calendario smentisce propaganda

Regionali: centrosinistra compatto, destre impantanate. La narrazione sovranista si infrange nello scontro di potere tra i partiti della maggioranza

Per mesi – e in alcuni casi per anni – la maggioranza di governo e l’universo mediatico a essa collegato hanno dipinto il centrosinistra come una coalizione patologicamente litigiosa. «Ogni finestra elettorale… è un terreno solcato da liti, veti e colpi incrociati», scriveva Libero a proposito delle regionali in Calabria. Per La Verità, la sinistra è «sempre nel caos», incapace di presentare un progetto credibile. E ancora: i soliti editoriali sul Partito Democratico: “radical chic”, chiuso nei suoi salotti, dilaniato da correnti.

Una retorica consolidata, che ha trovato amplificatori nelle dichiarazioni della premier Giorgia Meloni: «La sinistra rinuncia alla via democratica», ha detto a fine agosto, accusando gli avversari di cercare «il soccorso della magistratura». La linea è sempre la stessa: delegittimare l’opposizione in quanto incapace a prescindere.

Il paradosso, oggi, è che proprio il centrosinistra ha già completato la selezione dei candidati per le prossime elezioni regionali in tutte e sette le regioni al voto: Marche, Calabria, Toscana, Puglia, Campania, Veneto e Valle d’Aosta. Il centrodestra, invece, arranca,  ostaggio dei suoi stessi equilibri interni.

Un centrosinistra che sorprende (soprattutto i suoi detrattori)

Il 6 settembre, con un annuncio ufficiale, il centrosinistra ha presentato la lista completa dei propri candidati presidenti: Matteo Ricci nelle Marche, Pasquale Tridico in Calabria, Eugenio Giani in Toscana, Antonio Decaro in Puglia, Roberto Fico in Campania, Giovanni Manildo in Veneto. Per la Valle d’Aosta, come noto, si procede con un’alleanza autonomista-progressista in costruzione, in coerenza con il sistema elettorale locale.

Il percorso per arrivare a queste scelte non è stato indolore: in Puglia è servita una mediazione complessa per superare il “nodo Emiliano”; in Calabria la convergenza su Tridico ha richiesto un confronto serrato tra Pd e M5S. Ma il dato politico è evidente: la coalizione ha risolto le divergenze, ha trovato la sintesi e ha avviato con settimane di anticipo le campagne territoriali.

Come ha scritto Il Sole 24 Ore, si tratta di un “campo largo coeso e pronto”. Fanpage, Il Post e Sky TG24 hanno sottolineato la capacità del centrosinistra di mettere da parte i personalismi. E mentre gli avversari si rincorrono nelle segrete stanze romane, i candidati progressisti già presidiano i territori.

Il centrodestra e l’arte di non decidere

Dall’altra parte, la coalizione di governo dà spettacolo di sé. A oggi, non esistono candidature definitive in Veneto, Campania e Puglia. L’eredità di Zaia ha spaccato la Lega e Fratelli d’Italia: entrambi reclamano la guida della Regione, ma la mediazione è ancora lontana. In Campania, la girandola di nomi va da Edmondo Cirielli (Fdi) a Giosy Romano (civico vicino a FI): ma la scelta non c’è. In Puglia, il partito della premier è diviso tra Fitto e Gemmato, mentre Forza Italia non ha nomi forti da spendere.

La cronaca politica di queste settimane è fatta di vertici annunciati e poi annullati. Antonio Tajani ha promesso il confronto “entro fine agosto”, Salvini parlava di “candidature a breve”. Ma a oggi (8 settembre), il dossier è ancora aperto. La premier Meloni, rientrata dalle vacanze in Puglia, ha indicato le regionali come priorità: intanto, però, il vertice decisivo non arriva.

Il dato più rilevante è che, a differenza del passato, il centrodestra oggi litiga non su come vincere, ma su chi deve governare dopo aver già vinto. Un segnale di arroganza e di tensione interna.

Un boomerang comunicativo per la destra di governo

Quello che era il principale punto di forza del centrodestra – l’immagine di una coalizione stabile, compatta, capace di decidere – si sta sgretolando proprio quando dovrebbe concretizzarsi. Come ha osservato Massimo Franco sul Corriere della Sera, l’attuale stallo è il frutto dell’egemonia di Fratelli d’Italia, che pretende di guidare anche le regioni storicamente “controllate” da Lega e Forza Italia.

I sondaggi delle europee 2024 fotografano il problema: FdI è al 28,8%, FI al 9,6% e la Lega sotto al 9%. Questa sproporzione ha rotto i vecchi equilibri paritari: ora Meloni vuole tutto, ma Salvini e Tajani resistono. Il risultato è una paralisi da “battaglia tra eredi” – in Veneto, in Campania, in Puglia – mentre il centrosinistra guadagna campo.

E il punto più interessante è che proprio il centrodestra, che accusa la sinistra di essere sempre in campagna elettorale, è oggi incapace di iniziare la propria. Perché senza candidati non si fa strategia. Senza strategia, si rincorrono gli altri.

La favola del centrosinistra litigioso, raccontata per anni da Meloni, Salvini, Tajani e dai giornali amici, oggi si infrange contro la realtà. A pochi mesi dal voto, il campo largo ha scelto. Il governo, invece, è ancora alla finestra. E se il buongiorno si vede dal mattino, la campagna elettorale del centrodestra comincia con un ritardo che, stavolta, non si può imputare ai “giudici” o ai “complotti mediatici”. Solo alla propria (in)capacità di decidere.