Dalle roboanti promesse dell’estate, il governo sembra già pronto a tornare indietro in vista della prossima manovra. L’ora della verità si avvicina e pian piano gli esponenti della maggioranza ridimensionano gli obiettivi. Il primo a mettere le mani avanti è stato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che ha avvertito: prima di fare promesse, bisogna calcolare le risorse necessarie per l’aumento delle spese militari e gli aiuti all’Ucraina.
Negli ultimi giorni è stato il viceministro, Maurizio Leo, a dire che il taglio dell’Irpef non è poi così sicuro e che bisogna attendere i conti dell’Istat del 22 settembre. Ora arriva anche una sorta di ammissione che si trasforma in autogol. È il responsabile economico di Forza Italia, Maurizio Casasco, ad ammettere che qualsiasi operazione non può prescindere dalla crescita. “L’unica vera ricetta liberale – afferma – è la crescita: solo attraverso la crescita possiamo garantire stipendi più alti e benessere diffuso”.
Come a dire che se la crescita non sarà sostenuta, allora possiamo dire addio al taglio dell’Irpef che alzerebbe gli stipendi per il ceto medio. E qui la maggioranza di fatto getta la maschera, perché la crescita italiana è tutt’altro che sostenuta. Se il governo si affida alla crescita per recuperare le risorse necessarie al taglio dell’Irpef, l’impressione è che le speranze siano ben poche. E a dimostrarlo sono i dati: il secondo trimestre si è chiuso con un -0,1%, tra i peggiori del G20. E per il 2025 le previsioni non lasciano ben sperare, con un Pil che si potrebbe fermare al +0,5% o +0,6%. Senza un’accelerazione, al momento difficile da immaginare, la strada della manovra è in salita.
Manovra al bivio, si avvicinano le date decisive
Due sono le date da cerchiare in rosso sul calendario per il Mef. La prima è quella del 22 settembre, quando l’Istat divulgherà i conti economici nazionali. Solo allora, come ha sottolineato Leo, sapremo se ci sono gli oltre 5 miliardi necessari per il taglio dell’Irpef. La seconda data da segnare è quella del 2 ottobre, quando bisognerà presentare in Parlamento il Documento di programmazione di finanza pubblica.
I tempi stringono e il cantiere della manovra resta in alto mare, con più litigi interni alla maggioranza che soluzioni concrete in arrivo. Anche su quella che dovrebbe essere la misura regina della prossima legge di Bilancio non c’è chiarezza: la riduzione dell’Irpef dal 35% al 33% potrebbe riguardare i redditi fino a 50mila o fino a 60mila euro. Con vantaggi di poche centinaia di euro l’anno che potrebbero salire fino a 1.400 euro per chi guadagna di più.
Misura da affiancare anche a una rivalutazione delle detrazioni “in funzione del nucleo familiare”, probabilmente con più vantaggi per chi ha più figli. Resta poi il nodo delle banche. Matteo Salvini rilancia il contributo che potrebbe arrivare a 3 miliardi, ma gli istituti frenano spiegando che si limiteranno a confermare l’accordo dello scorso anno con l’anticipo sulle Dta. Nessun contributo di solidarietà, quindi. Ma la partita è ancora apertissima.