Nel Partito democratico le correnti non chiudono mai bottega: cambiano insegna, ma restano l’infrastruttura reale del potere interno. L’ultima è quella costruita da Lorenzo Guerini, che il 20 settembre ha sancito l’archiviazione dell’asse con Stefano Bonaccini e ha messo in cantiere un nuovo polo riformista. Ufficialmente per “organizzare un pensiero” leale con la segreteria Schlein. Nella pratica, un dispositivo che si attrezza per il dopo: quando i numeri in assemblea e nei gruppi parlamentari consentiranno di aprire la partita sulla guida del partito.
La scelta del tempo racconta la strategia. A ridosso delle regionali, con una Direzione contestata nei metodi e rinviata nei contenuti, la corrente gueriniana prende forma senza clamori di piazza, con la consueta liturgia delle riunioni riservate. Non è l’annuncio di una battaglia sui temi, è l’avvio di un lavoro di posizionamento: mappe dei delegati, dialoghi con amministratori, sguardo attento ai mondi cattolici e liberali che chiedono una postura più accomodante verso destra, in Parlamento e nei territori.
Correnti per il dopo-Schlein
Il quadro che si compone è fatto di tasselli compatibili: “Comunità Democratica” di Graziano Delrio, la “Rete Civica Solidale” di Paolo Ciani con Marco Tarquinio e Stefania Proietti, e ora l’area gueriniana che si propone europeista e atlantica, con frequenti richiami all’“interesse nazionale”. L’agenda richiamata è classica: lavoro, transizioni industriali, welfare territoriale. Pochi conflitti scoperti, molta manutenzione del perimetro. È la grammatica di chi deve tenere insieme sensibilità diverse in vista di un tornante: non spaccare oggi per poter capitalizzare domani.
In controluce emerge il vero banco di prova: non una proposta che sposti l’asse del Pd nel Paese, ma la costruzione di una maggioranza interna pronta a contestare la leadership quando la finestra si aprirà. Qui la frattura diventa politica: il mandato espresso da iscritti ed elettori nelle primarie che hanno eletto Schlein scivola sullo sfondo, trattato come un orpello cerimoniale rispetto alla geografia dei gruppi. Si lavora a un “congresso di fatto” senza proclamarlo, con mozioni soft, ordini del giorno neutri, appelli all’unità che preparano la conta. L’obiettivo è predisporre un approdo: una segreteria più dialogante verso il centro-destra sociale e istituzionale, capace di rassicurare i poteri amministrativi e i mondi economici che mal sopportano l’impronta attuale.
Il metodo è coerente con la biografia politica di Guerini: nessuna rottura urlata, diplomazia telefonica, dossier curati, promesse di affidabilità. È l’opposizione che piace ai palazzi: ordinata, leggibile, con margini di trattativa su ogni dossier. Un’opposizione così può ribaltare una guida senza mai sporcarsi con il conflitto a cielo aperto, perché sposta i pesi dove contano davvero: nelle commissioni, nelle direzioni, nelle liste.
L’opposizione più trasparente
La corrente che nasce si definisce per sottrazione. Non mobilita vertenze, non sfida sui grandi nodi – precarietà, salari, scuola, sanità, politiche industriali – e non apre fronti reali sulla politica estera. Preferisce calibrare il lessico, evitare le parole che dividono, offrire mediazioni. È un’omeopatia politica che lenisce i malumori senza intaccarne le cause. L’idea di alternativa è rimandata alla prossima curva: quando i numeri diranno che si può chiedere un cambio al timone, allora si chiamerà “responsabilità”.
Intanto il Paese scivola tra inflazione dei redditi bassi, deserti industriali e conflitti che impattano su bilanci e diritti. In questo scenario, la nuova corrente misura la propria utilità sulla stabilità interna più che sulla capacità di egemonia sociale. È un’opposizione trasparente: non disturba l’ordine del giorno, non sposta la narrazione, ma lavora per la resa dei conti. Se accadrà, si dirà che lo chiedeva la “governabilità”. E il voto delle primarie, con gli elettori convocati a indicare una direzione, resterà sul tavolo come un soprammobile: rispettato nelle formule, aggirato nelle pratiche.
Il Pd conosce bene questa meccanica. Correnti che promettono un partito più largo e finiscono per regolare conti interni; richiami al riformismo che non diventano progetto; rally di amministratori che si trasformano in pesi per congressi futuri. La novità di oggi, nella sostanza, è la chiarezza del disegno: preparare il cambio di segreteria senza dirlo, facendo della discrezione una forza. È politica di precisione, efficiente nelle stanze dove si decide. Ma resta da capire se possa ancora parlare a chi, fuori da quelle stanze, chiede un partito che scelga e che rischi.