Onorevole Arturo Scotto, lei che si è speso attivamente a bordo della Global Sumud Flotilla per portare aiuti ai Gazawi, come legge i timori che giungono dalla Casa Bianca sulla tenuta del cessate il fuoco? Trump si sta forse accorgendo che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non è un così solido interlocutore?
“Mettiamo in ordine le cose: la tregua è arrivata tardi, troppo tardi. E la responsabilità sta innanzitutto in capo agli USA di Donald Trump che hanno lasciato fare a Nethanyahu quello che voleva. Dopo 67mila morti e il 90% delle infrastrutture distrutte, non c’è nulla da festeggiare e nessuno da ringraziare. Witkoff – l’inviato di Trump – afferma che su Gaza sembra passata una bomba atomica. Peccato che dimentica che hanno contribuito anche le armi americane ad alimentare morte e distruzione. Oggi quella tregua però va difesa e sostenuta, perché almeno non cadano le bombe sulla testa dei bambini. E perché cominciano ad entrare – anche se a singhiozzo – gli aiuti umanitari e vengono finalmente liberati gli ostaggi. Tuttavia, senza la politica non si trasformerà mai in pace: qui serve una forte spinta della comunità internazionale che riconosca pienamente il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese. Senza questo, i giacimenti di odio non saranno prosciugati. Anche perché i soggetti che sono nei fatti i contraenti della tregua hanno una forte matrice estremista e messianica. Trump, Nethanyahu ed Hamas sono leadership che pretendono di agire in nome di Dio. È la loro retorica, tipica di una destra mondiale che a rotazione usa la Bibbia, il Corano o la Torah per scavare solchi tra i popoli. Invece io continuo a pensare che non c’è pace senza giustizia”.
“Cedi il Donbass o sarai distrutto”, queste sono invece le parole di Trump destinate a Zelensky. La richiesta di una resa da parte dell’Ucraina, o l’approccio pragmatico di chi è consapevole che è possibile raggiungere la pace solo attraverso un compromesso?
“Trump non ha in testa la diplomazia, ma solo la legge del più forte. La strada che ha perseguito finora è stata sempre quella di delegittimare tutti gli organismi multilaterali: dall’Onu alla Corte Penale Internazionale, dall’Oms fino all’Ue. Tutto quello che significa spazio di coesistenza pacifica è considerato un ferrovecchio del Novecento. Non si può immaginare una pace sulla testa di un popolo aggredito. Io sono sempre stato critico rispetto all’escalation militare in Ucraina, non ho condiviso l’idea che più armi avrebbero risolto il conflitto, ho sempre pensato che l’Europa avrebbe dovuto usare la leva diplomatica con più forza anziché limitarsi a eseguire gli orientamenti statunitensi, ma non si può immaginare che un compromesso, anche doloroso, passi per la legittimazione della strategia imperiale di Putin”.
Il conflitto mediorientale e quello russo-ucraino sono una prova anche sul ruolo giocato dall’Europa su scala globale. Non rischiamo di essere “un vaso di coccio tra vasi di ferro”?
“La verità è che l’Europa non ha giocato purtroppo alcuna partita. È apparsa incapace di organizzare un contrappeso credibile al trumpismo che imponeva i dazi e pretendeva che la spesa militare dei paesi Nato arrivassero al 5% del Pil. La mobilitazione di queste settimane attorno alla drammatica tragedia di Gaza aveva un sottotitolo: basta con un ordine mondiale in cui vige un doppio standard. Da questo punto di vista l’Europa non ha fatto valere nessuna specificità rispetto agli Usa, scegliendo di non mettere mai davanti a tutto il diritto internazionale. Questa assenza di autonomia rischia di trascinarci indietro: è il frutto avvelenato delle destre nazionaliste che come sempre fanno gli interessi dei più ricchi e dei più prepotenti. E l’Italia ne è l’interprete più fedele. Siamo sempre stati alleati degli americani, ma abbiamo sempre cercato di mantenere una postura che ci consentisse di giocare le nostre partite nello spazio geografico, politico e commerciale che era quello più prossimo a noi: il Mediterraneo”.
Ed è proprio sul fronte della spesa militare che troviamo in manovra un vertiginoso aumento delle spese. “Una manovra equilibrata e seria” come la intende la Meloni?
“Sul riarmo nazionale Meloni paga l’obolo ai diktat americani. Scommette su questa strada anziché sulla difesa comune. La pagheranno i cittadini più deboli, come sempre, a cui verranno sottratte quote di sanità, di welfare, di lavoro di qualità. Impressiona il cortocircuito con le promesse elettorali. Dovevano superare la Fornero e aumentano l’età pensionabile di tre mesi. Dovevano intervenire per sostenere il potere d’acquisto dei salari e mettono tre euro al mese in più in tasca ai redditi fino a 28mila euro annui. Sull’energia si rifiutano di promuovere il disaccoppiamento tra gas ed elettricità per buttare giù la bolletta e continuano ostinatamente a negare l’esigenza di un salario minimo per tre milioni e mezzo di lavoratori poveri. La verità è che è una manovra di austerity: non entriamo tecnicamente in recessione perché ci sono ancora i soldi del Pnrr. Che abbiamo portato in Italia noi progressisti, non loro. Tant’è che votarono anche contro.
Di qualche giorno fa l’attentato a Sigfrido Ranucci che ha scosso l’opinione pubblica, mentre dati e casi mostrano il calo delle risposte di Meloni: meno conferenze, più attacchi alla stampa, un rapporto sempre più chiuso. Come se la passa la stampa in Italia?
“Quando la segretaria del Pd Elly Schlein ha detto che l’estrema destra attacca la libertà di stampa, Meloni ha alzato un polverone riaprendo di nuovo la solita fiera del vittimismo. Addirittura, l’ha intimata dicendo che una rappresentante del popolo che dall’estero attacca il Governo danneggia la Nazione. Come se lei incarnasse la Nazione e dunque fosse intoccabile. Per fortuna l’Italia resta, Meloni prima o poi passerà. Non si è mai vista tanta intolleranza nei confronti del giornalismo che fa inchiesta, anche su Report la destra ha sempre alimentato attacchi da regime. E non solo su Report. L’attentato a Ranucci è gravissimo. È importante la solidarietà di tutti, anche del governo. Ma se non vogliono che rimanga sulla carta, facciano anche atti conseguenti. A partire dal ritiro delle querele temerarie che sono l’arma per frenare l’autonomia di chi fa un mestiere difficile come quello di garantire la libertà di informazione”.