Una “beffa” ai danni dei lavoratori, almeno quelli del settore pubblico. A denunciarla è la Cgil: secondo il sindacato, con la Manovra “il governo tenta di far passare come sconto un intervento che, in realtà, sottrae ancora una volta risorse a chi ha già subito anni di penalizzazioni”. Nello specifico, si parla di più di 22,6 milioni di euro che vengono “prelevati direttamente dai Tfs/Tfr delle persone che vanno in pensione”.
A spiegare questo meccanismo sono la confederazione e le categorie dei lavoratori della conoscenza (Flc), funzione pubblica (Fp) e pensionati (Spi) della Cgil, facendo riferimento all’articolo 44 della legge di Bilancio, una misura presentare per “migliorare i tempi di pagamento del Tfs e del Tfr”. Ma cosa succede con questo nuovo meccanismo?
La beffa per gli statali: perché con la Manovra perdono 22 milioni
La Cgil parla di “operazione di facciata che finisce per aggravare ulteriormente la condizione economica dei lavoratori”. Partiamo dall’origine: la Corte costituzionale, sottolinea il sindacato, “aveva chiesto al legislatore di eliminare la disparità irragionevole tra pubblico e privato nei tempi di liquidazione del Tfs/Tfr”.
E il governo ha deciso di rispondere, spiega ancora la Cgil, “con un anticipo di soli tre mesi per le sole pensioni di vecchiaia, lasciando immutati i lunghissimi differimenti e la rateizzazione che può arrivare fino a sette anni. In questo modo, il problema strutturale resta intatto, il monito della Corte viene ignorato e la discriminazione continua senza alcuna correzione”.
Ma il problema non è questo, tanto che la Cgil parla di un “aspetto ancora più grave, nascosto nella relazione tecnica e mai dichiarato pubblicamente: l’anticipo dei tre mesi cancella automaticamente la detassazione prevista fino a 50mila euro per i pagamenti effettuati a partire da dodici mesi dalla cessazione. Con il nuovo anticipo questo requisito non si matura più e ogni lavoratore non riceverà 750 euro. Su una platea di 30.122 pensionamenti di vecchiaia, come indicato nella relazione tecnica, le risorse recuperate raggiungeranno 22,6 milioni di euro”.
In parole povere, il lavoratore perde la detassazione fino a 50mila euro per i pagamenti effettuati dopo un anno dalla fine del lavoro e quindi perde 750 euro. Una norma ritenuta “inutile e sbagliata” dal sindacato, aggiungendosi peraltro alla “pesante perdita del potere d’acquisto delle liquidazioni che, come abbiamo già calcolato, può variare tra 17mila e 41mila euro a causa dell’inflazione e del mancato rendimento”.