La Sveglia

Occhi su Gaza, diario di bordo #93

La foto della famiglia sterminata ieri a Gaza è l’ennesimo frammento di un archivio che cresce mentre il cessate il fuoco resta appeso a comunicati sempre più vuoti. Le squadre di recupero continuano a estrarre corpi da Khan Younis e Daeri, i coloni in Cisgiordania registrano nuovi assalti nella zona di Shilo, e l’Onu parla apertamente di una «pratica sistemica» che ignora ogni obbligo delle misure provvisorie della Corte internazionale di giustizia.

Nelle stesse ore è arrivato il nuovo rapporto Don’t Buy Into Occupation. Non parla più di “economia dell’occupazione”: adotta la definizione di «economia del genocidio» mutuata dal lavoro di Francesca Albanese. Dentro ci sono 104 aziende globali e più di 1.100 istituzioni finanziarie europee che alimentano la macchina militare israeliana, con oltre 1.500 miliardi di dollari di esposizione. Il capitolo italiano è nitido, dalle banche ai grandi player energetici e del comparto militare.

Su quest’ultimo, otto associazioni e una cittadina palestinese hanno depositato un ricorso al tribunale civile di Roma. Chiedono di dichiarare illegittimi i contratti che forniscono componenti per F-35, sistemi radar, parti del Trophy installato sui Merkava. È il primo tentativo formale di forzare l’Italia a misurarsi con il proprio ruolo nella filiera che sostiene la guerra.

Nel frattempo un’altra filiera scorre silenziosa: quella dei dati. L’inchiesta che coinvolge Microsoft e l’Unità 8200 apre un fronte europeo sul trattamento di materiale di sorveglianza raccolto nei territori palestinesi e archiviato su server Ue. Anche questo è parte dell’infrastruttura del conflitto.

E mentre tutto questo si muove, in Parlamento il Pd presenta un disegno di legge che lega critica a Israele e antisemitismo. Una norma che arriva proprio quando l’Onu e DBIO documentano il contrario: la necessità di guardare in faccia la catena che rende possibile ciò che vediamo ogni giorno nelle macerie di Gaza.