La Sveglia

A Gaza si muore di fame e in Europa di cautela

Mentre Israele approva l’occupazione totale della Striscia di Gaza, il governo Netanyahu discute se far entrare o meno i camion con farina e medicine. Il gabinetto di sicurezza ha dato l’ok all’unanimità per una nuova fase della guerra: “conquista e mantenimento del territorio”. Un eufemismo per chiamare con freddezza militare ciò che è già una tragedia: due milioni di persone ridotte a combattere contro la fame, la sete e il silenzio.

Nel frattempo, il ministro Ben Gvir chiede di bombardare le scorte alimentari di Hamas e afferma che “Gaza ha aiuti a sufficienza”. Nessuna ironia, solo l’indifferenza che diventa dottrina. Il capo di Stato Maggiore ricorda il diritto internazionale, ma viene zittito. Gli aiuti arriveranno solo dopo la visita di Donald Trump, come se un popolo potesse essere tenuto in ostaggio del calendario diplomatico.

A Gaza, racconta la giornalista Rita Baroud, i bambini bevono acqua torbida e mangiano foglie d’uva crude. Le panetterie sono chiuse, le fattorie bombardate, i pozzi contaminati. Il pane è un ricordo, la carne un miraggio, l’acqua un lusso negoziato col potere. La fame non è una conseguenza della guerra. È una scelta deliberata, una strategia. La fame come arma, la sete come deterrente.

Israele dice di voler evitare che Hamas si appropri degli aiuti, ma intanto la carestia avanza, i morti superano i 52.000 e le tende profughi si riempiono di corpi vivi che svaniscono. In Occidente, la parola “cessate il fuoco” si consuma sulle labbra, senza trovare mai le condizioni “adeguate”.

Non è una difesa, è un piano di sterminio. Per avere successo ha solo bisogno di un esercito di vigliacchi fiancheggiatori.