Accademici italiani contro gli orrori di Tel Aviv

Quattromila docenti accademici chiedono al governo lo stop alla cooperazione tra università italiane e israeliane.

Accademici italiani contro gli orrori di Tel Aviv

Davanti ai massacri di civili di Gaza che continuano da quarantadue giorni, il mondo accademico italiano si mobilita. Sono oltre 4 mila i professori che hanno sottoscritto l’appello, inviato al ministro degli Esteri Antonio Tajani, alla ministra dell’Università Anna Maria Bernini e alla Conferenza dei rettori delle università, per chiedere di portare avanti una proposta per giungere a un cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza, di pretendere dal premier israeliano Benjamin Netanyahu il rispetto del diritto umanitario internazionale e, non meno importante, di interrompere la collaborazione tra gli atenei italiani e quelli israeliani in segno di protesta.

Come si legge nella lunga missiva “in quanto membri delle comunità accademiche e dei centri di ricerca italiani, scriviamo questa lettera in nome della pace e della giustizia, uniti dalla richiesta di porre un’immediata fine alla guerra in corso contro Gaza. Riteniamo sia nostro dovere individuale, comunitario e accademico, dissociarsi dalle posizioni finora intraprese dal governo del nostro Paese, ed assumerci la responsabilità di azioni e richieste per contrastare il crescente livello di violenza al quale stiamo assistendo impotenti”. Da troppi anni “assistiamo con dolore e denunciamo ciò che accade in Palestina e Israele”, dove vige secondo Amnesty International “un illegale regime di oppressione militare e Apartheid”. Una situazione precipitata negli ultimi tempi visto che professori e ricercatori italiani parlano apertamente di “genocidio” dei palestinesi.

L’atto d’accusa degli accademici italiani su Gaza

Il mondo accademico ha ben chiaro che quanto sta accadendo ha precise responsabilità in quanto la guerra è esplosa “a seguito delle brutali azioni perpetrate da Hamas il 7 ottobre che hanno causato la morte di oltre 1.400 persone (la maggior parte delle quali civili) e portato al rapimento di circa 200 ostaggi” ma la reazione di Tel Aviv sarebbe andata ben oltre il legittimo diritto alla difesa. Come si legge nel testo: “Assistiamo da settimane a massicci e indiscriminati bombardamenti condotti dall’esercito di Israele contro la popolazione della Striscia, che si configura come una punizione collettiva contro la popolazione inerme e imprigionata in poco più di 360 km2” ma, cosa ancor peggiore, “il governo israeliano ha intimato ad oltre un milione di abitanti nella Striscia di lasciare le loro case (…) sapendo che non vi sono via di fuga” con l’aggravante che “molti di questi sfollati sono stati poi bombardati nelle cosiddette ‘zone sicure’ nel sud della Striscia rivelando un chiaro intento di pulizia etnica da parte del governo israeliano”.

Responsabilità per questa situazione che non mancano anche sul fronte israeliano visto che scrivono: “In tutti i report messi a disposizione dalle Nazioni Unite e dalle numerose organizzazioni umanitarie (ad esempio Amnesty International e Human Rights Watch), è segnalata l’importanza di considerare e comprendere le determinanti e antecedenti a questa violenza, da ricercarsi nella illegale occupazione che Israele impone alla popolazione palestinese da oltre 75 anni, attraverso una forma di segregazione razziale ed etnica”. Tutte ragioni per le quali chiedono al governo e ai loro stessi atenei “di procedere con l’interruzione immediata delle collaborazioni con istituzioni universitarie e di ricerca israeliane fino a quando non sarà ripristinato il rispetto del diritto internazionale e umanitario” e “fino a quando non saranno attivate azioni volte a porre fine all’occupazione coloniale illegale dei territori palestinesi e all’assedio di Gaza”.