Achtung Angela. L’Italia non si piega al ricatto tedesco. Mai compromessi al ribasso. Conte non si fa fregare sul Mes

Sono da poco passate le 15 quando le flebili speranze che la proposta di emissione di eurobond comuni venisse accolta dall’Eurogruppo senza problemi s’infrangono contro la dura realtà. O meglio contro l’ intransigenza tedesca. È lo stesso presidente Mario Centeno, che a quell’ora annuncia che fra le misure messe in campo per contrastare lo shock economico dovuto alla pandemia non sono contemplati i bond comuni, né sotto forma di eurobond definitivi né come coronabond a scadenza. Ma la strada sarebbe stata lunga lunghissima. La complicatissima trattativa è andata avanti tutta la notte, dopo ritardi, pause e – immaginiamo – toni durissimi, tanto che intorno alle 21 è il ministro maltese delle Finanze Edward Scicluna ad annunciare su Twitter che la maratona negoziale darebbe andata avanti fino a stamattina.

l nodo è quello che conosciamo ormai da settimane: da una parte il ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz con la sua ferrea volontà di non rinunciare al Mes e dall’altra il fronte dei nove compatto nel puntare i piedi. La Francia l’aveva detto con fermezza alla vigilia della riunione: se la sua idea di eurobond, cioè un fondo temporaneo di solidarietà, non fosse stato sostenuto dall’Eurogruppo, non avrebbe dato il suo via libera al Mes. L’Italia non ne parliamo, è stato Conte con la sua linea ferma a far concludere lo scorso meeting europeo con un nulla di fatto. E ha tenuto il punto fino alla fine. Ma la concessione che i rigoristi sembrano disposti a dare è soltanto sulle condizionalità del fondo salva stati, che definiscono “light”.

Per indorare la pillola Angela Merkel (e i suoi Paesi “satellite” Olanda, Austria e Finlandia) parlano di un Mes con “linee di credito precauzionali legate a condizionalità minime”, escludendo le misure di austerità applicate in passato alla Grecia: i finanziamenti (si può prendere in prestito fino al 2% del proprio Pil, e per l’Italia sarebbero circa 35 miliardi) non sarebbero associati a impegni per le riforme strutturali né sarebbe previsto alcun controllo della Troika. Ma chi accede al Mes si deve impegnare a utilizzare i fondi esclusivamente per la ricostruzione post crisi. È chiaro dunque che delle condizioni ci sono eccome, sarebbe stato illusorio pensare che i falchi del nord le cancellassero totalmente.

Nel piano proposto si parla anche dell’utilizzo della Banca europea degli investimenti per garantire liquidità alle imprese – per un valore di 200 miliardi ma Scholz non ha mancato di sottolineare che la Bei “deve ottenere ulteriori garanzie dagli Stati membri” – e dello schema Sure, proposto dalla Commissione Europea, che mira a sostenere i piani nazionali di sostegno all’occupazione e a finanziare meccanismi come la cassa integrazione per circa 100 miliardi. Da dove vengono i soldi? La Commissione prende in prestito i fondi sul mercato dei capitali e gli Stati membri forniscono garanzie. Siamo sempre lì… le garanzie. È evidente che l’Europa, che ancora una volta ha mostrato il suo vero volto e quanto sia di fatto piegata ai diktat teutonici, ne esce profondamente spaccata. Nella sostanza, nella forma e nell’immagine.

“Sotto il vestito niente”, al di là delle belle parole di solidarietà e condivisione e buoni sentimenti la realtà è dura e cruda. La sovranità condivisa è una bugia che ci siamo detti per decenni, non lo è mai stata. Berlino ha sempre fatto fronte comune con i paesi nordici e delle sorti degli altri poco le interessa, coronavirus o meno. Anche sommando i tre “aiuti” si arriva a 500 miliardi, appena un terzo dello stimolo necessario a far ripartire l’economia europea secondo i calcoli della Commissione. Così composto, il pacchetto quindi non può funzionare.