Adesso sopra i cieli dell’Est

di Angelo Perfetti

Soldati in aumento, truppe in azione, aerei che occupano i cieli. La vicenda ucraina si sta complicando, e molto. E alle schermaglie della diplomazia, che fino a oggi hanno ottenuto ben poco, si sommano ora quelle militari. Una china pericolosa, perché prelude al conflitto armato, ma forse l’unica lingua in grado di essere compresa da tutti gli schieramenti in campo; con l’auspicio di far rimanere la cosa a livello di pressione. La Nato ha dunque deciso di far alzare in volo i suoi aerei radar sui cieli di Polonia e Romania per “monitorare la crisi in Ucraina”, precisando i voli di ricognizione degli Awacs saranno “esclusivamente” sul territorio dell’Alleanza. E’ il primo passo militare dell’Allenaza, seppur blando. Comunque segna un cambio di passo.

Diplomazia al lavoro
Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, è “sempre più allarmato” per i recenti sviluppi della situazione in Ucraina. Il portavoce del Palazzo di Vetro, Stephane Dujarric, ha sottolineato ancora una volta come la comunità internazionale debba “aiutare gli attori principali nel Paese a riportare la calma, lavorando per una soluzione politica duratura ed equa – ha aggiunto – Un ulteriore deterioramento della situazione avrebbe gravi ripercussioni per la popolazione dell’Ucraina, per la regione e a livello globale”. Il segretario generale sostiene che in questo momento cruciale non ci si possono permettere errori. “I recenti avvenimenti in Crimea sono solo serviti a rendere la crisi più profonda”, ha aggiunto, esortando tutte le parti ad “astenersi da azioni e affermazioni provocatorie”. Ban ha ribadito che la soluzione della crisi deve essere trovata sulla base dei principi della Carta delle Nazioni Unite. “Fin dall’inizio della crisi ho sempre esortato le parti ad avviare un dialogo diretto e costruttivo per trovare una soluzione pacifica alla crisi”, ha detto, lanciando un nuovo appello al rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina oltre che al rispetto dei diritti umani e delle minoranze.

Il referendum in Crimea
E a proposito di sovranità c’è un fronte aperto anche in Crimea, con il referendum proposto per tornare sotto la Russia. Su questo è invece intervenuto il primo ministro inglese. Cameron ha riconosciuto che le sanzioni contro la Russia potrebbero avere conseguenze per la Gran Bretagna e i suoi partner dell’Unione europea. Ma ha aggiunto: ‘’La sicurezza e la prosperità della Gran Bretagna sarebbero a rischio se permettessimo una situazione in cui le nazioni si beffano delle regole internazionali senza subirne le conseguenze’’. Il premier ha ricordato che la via per la soluzione della crisi passa attraverso le trattative dirette tra Russia e Ucraina, la cancellazione del referendum per l’annessione della Crimea, il ritiro delle truppe di Mosca e l’organizzazione di libere elezioni. Va aggiunto, a margine del ragionamento, che la Gran Bretagna ha storicamente difeso i propri interessi anche con le armi, il che fa leggere l’intervento di Cameron come un’ulteriore accelerata verso una soluzione non pacifica.

Lo scontro politico
Si accende dunque lo scontro politico in vista del referendum di domenica prossima in Crimea per la secessione dall’Ucraina. Il premier ucraino ad interim, Arseny Yatseniuk, ha lanciato un appello alla Russia perché faccia in modo che la consultazione promossa dai filo-russi “venga immediatamente annullata”. “Non è vero che è stata convocata dalle autorità legittime della Crimea perché quelle non lo sono”, ha avvertito Yatseniuk, “sono una banda di criminali che hanno preso il potere in modo incostituzionale e con la protezione di 18.000 militari russi”. Gli Usa, con l’ambasciatore a Kiev, Geoffrey Piatt, hanno ribadito che non riconosceranno l’annessione della Crimea alla Russia. Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha replicato che presenterà presto nuove proposte per risolvere la crisi, perché a suo dire quelle americane “non soddisfano”. Intanto, il leader dei tatari di Crimea (che costituiscono il 12% della popolazione locale) ha respinto un’offerta di collaborazione del governo filorusso locale.