Al timone sempre

di Gaetano Pedullà

Siamo il Paese delle corsie preferenziali, dove i soliti noti fanno strada e tutti gli altri si arrangino. Diciamo la verità: questa sensazione ce l’abbiamo da sempre. Ma vederlo scritto nero su bianco dall’Antitrust fa tutto un altro affetto. L’Autorità che vigila sulla (non) concorrenza ieri ha messo in fila nella sua relazione al Senato tutti i difetti di un’Italia con troppi vizi. L’economia, per cominciare, resta dominata da un intreccio di relazioni, di favori tra amici degli amici, che permette ai gruppi dominanti di restare al comando pur senza innovare, investire, crescere. È il cosiddetto “capitalismo relazionale”, una sorta di estensione di quel “capitalismo familiare” sempre più marginale in un sistema globale. Chi si affaccia sul mercato con un’idea nuova, con voglia e capacità di creare, qui si scordi di trovare quel credito e sostegno che invece è naturale nelle economie aperte. E non finisce qui. La legge sul conflitto di interessi è insufficiente, le società pubbliche vanno completamente riformate, il mercato ingessato delle assicurazioni è scandaloso, con i prezzi della Rc Auto non a caso tra i più alti d’Europa. Società come Telecom godono di vantaggi inconcepibili in altri Paesi, a fronte di investimenti insufficienti sulla banda larga. Siamo il regno dei lobbisti, dove non si erano mai visti i portatori di interessi diventare addirittura consiglieri di amministrazione di grandi società pubbliche. Per questo facciamo poca innovazione. Migliorare, cambiare, comportano sforzi e rischi che uno Stato dominato da inciucioni non vuole correre. Poi non stupiamoci se il mondo corre e noi no.