Alaska, pace rimandata: Trump e Putin giocano di sponda, l’Europa resta alla finestra

Tre ore in Alaska, zero risposte: passerella senza domande, Putin detta i paletti, Trump alza la posta, l’Europa resta a guardare.

Alaska, pace rimandata: Trump e Putin giocano di sponda, l’Europa resta alla finestra

Donald Trump e Vladimir Putin si sono presi l’Alaska, le foto, la passerella, la limousine condivisa. Si sono presi anche il vantaggio politico che deriva dall’apparire, in controluce, come i due soli padroni del tavolo. Non si sono presi la pace. Dopo quasi tre ore di incontro, il cessate il fuoco in Ucraina non c’è. A beneficio di telecamere e taccuini, i due si sono presentati per pochi minuti e hanno concesso solo dichiarazioni. Niente domande: dettaglio non secondario, perché un’apparizione senza possibilità di porre quesiti non è una conferenza stampa. È una scenografia. E la scenografia, in questo caso, è servita a ribadire che «l’accordo non c’è», che «ci sono stati progressi» di natura non specificata e che «la prossima volta» ci si rivedrà a Mosca. Il resto rimane nel cono d’ombra della comunicazione controllata.

Il metodo Trump, i paletti di Putin

Nel merito, Trump ha fatto sapere che non intende dire «cosa manca» per chiudere, ma ha assegnato i compiti: «Ora tocca a Zelensky e agli europei». Voto alla giornata: «dieci su dieci». Sulle leve, ha ventilato l’ipotesi di nuove sanzioni «forse tra due o tre settimane», mentre in tv ha lasciato scivolare che i “punti” toccano perfino scambi territoriali con garanzie alternative alla Nato. È la sua grammatica: alzare l’asticella, dare un orizzonte breve, accreditarsi come unico mediatore possibile.

Putin, dal canto suo, ha rimesso in riga i contorni della sua posizione: niente tregua immediata, «condizioni» da ribadire e soprattutto un avvertimento diretto a Kiev e all’Unione europea: non «interferire» e non «sabotare» gli sforzi di pace. Ha aggiunto il controfattuale più utile alla narrativa cremliniana: se Trump fosse stato alla Casa Bianca nel 2022, «la guerra non ci sarebbe stata». Il messaggio vero però è un altro: il leader russo non si sente più paria, cammina su tappeti rossi su suolo americano e invita il presidente Usa «la prossima volta a Mosca». Il risultato politico — immagini e prestigio — è già in cassa.

Zelensky vaso di coccio

Il terzo convitato, Volodymyr Zelensky, resta per ora il più esposto. Ha parlato a lungo con Trump e vedrà il presidente Usa a Washington; si è affacciata l’ipotesi di un incontro a tre «molto presto», subito smentita da Mosca. Nel frattempo, la parte più fragile del mosaico — il «vaso di coccio» — è invitata a “fare un accordo” con la potenza che l’ha invasa. Un capovolgimento che dice molto su come è stato allestito il set: due che dettano il perimetro, uno che deve adeguarsi.

Trump-Putin, Europa alla finestra

E l’Europa? Riunioni degli ambasciatori, dichiarazioni di rito, il lessico della «valutazione dell’esito». È la fotografia più fedele della postura europea: arrivare dopo, commentare, prendere atto. Il continente resta diviso tra i «volenterosi» (Macron & C., che continuano a evocare persino l’invio di truppe a sostegno di Kiev) e gli «svogliati» (Meloni & C., che quell’ipotesi non la contemplano). Dopo la resa totale nella partita dei dazi pretesi da Washington, immaginare una rotta di collisione con gli Stati Uniti assomiglia a un esercizio accademico. La «grande mediatrice» Giorgia Meloni, che nei giorni scorsi si era candidata a sponde e contatti, si è affacciata nella call di aggiornamento a valle del summit: il resto, verosimilmente, l’ha guardato in televisione.

Gli sviluppi possibili

I “progressi” evocati da entrambi somigliano più a una cornice che a contenuti. Se davvero sul tavolo c’è l’idea di scambi territoriali, allora la pace che si delinea è una pace di potenza, con garanzie di sicurezza da definire e un equilibrio che sposta sull’Ucraina il peso della rinuncia. Se invece il cantiere fosse quello di un cessate il fuoco con linee di contatto congelate, restano due nodi: chi garantisce e con quali strumenti; e quale ruolo vogliono (e possono) prendersi gli europei, oscillanti tra la voglia di rivendicare centralità e la paura di pagarne il costo.

Nel frattempo, Mosca capitalizza l’effetto-simbolo dell’Alaska e il rientro nel salotto buono, Trump si accredita come l’unico in grado di “fermare le uccisioni” in tempi rapidi tenendo in sospeso l’arma delle sanzioni, e Kiev si presenta a Washington nel ruolo più scomodo: chiedere sicurezza mentre gli altri scrivono la bozza. Lunedì si capirà se Zelensky potrà sedersi a un tavolo dove i margini non siano già assegnati e se i «volenterosi» europei hanno un piano che non sia la semplice ratifica della geometria decisa altrove.

Finché andrà così, i vertici produrranno soprattutto immagini. E saranno altri a scrivere il testo.