Alemanno non ha dubbi

di Vittorio Pezzuto

Gianni Alemanno torna al Sud, candidandosi alle europee nel collegio che nel 2004 gli regalò la soddisfazione di 280mila preferenze. «Preferisco non presentarmi al Centro perché sono reduce dall’esperienza di sindaco della Capitale quale punto di riferimento di tutto il centrodestra. Non mi va di lacerare questi rapporti entrando in diretta competizione con i candidati del centrodestra a Roma».
Che a destra non sia più tempo di polemiche lo dimostra la vostra recente apertura a Francesco Storace.
«Per lui e per il suo partito le nostre porte e finestre restano spalancate, e non solo in occasione della definizione delle liste. A ottobre terremo un nuovo congresso con primarie a tutti i livelli e anch’egli potrà partecipare da protagonista. Il nostro progetto politico d’altronde è chiaro. Primo: riprenderci le chiavi di casa come italiani, utilizzando la tradizione della destra sociale e politica per costruire nel nostro Paese un Partito della Nazione che difenda i nostri interessi economici. Secondo: trasformare Fratelli d’Italia-AN in un protagonista nella necessaria fase di rigenerazione dell’intero centrodestra, che superi i limiti del berlusconismo e sia proiettato nel futuro».
In passato sedere nell’emiciclo del Parlamento di Bruxelles era considerato un ripiego per la carriera politica, lontano dalla ribalta nazionale.
«Guardi, si tratta di una critica legittima dati gli scarsi poteri di questa assemblea. Questa volta però il Parlamento europeo sarà lo scenario della grande rivolta dei popoli europei contro l’euro e le burocrazie di Bruxelles. Sarà un grande pulpito per le nostre idee e le sue decisioni assumeranno un valore politico straordinario».
L’offerta elettorale di partiti contrari all’euro si annuncia vasta. Perché votare Fratelli d’Italia e non invece Lega o M5S?
«Perché in questa battaglia c’è coerenza solo se si rappresenta un partito di ispirazione nazionale. La Lega è soltanto espressione di regioni del nord mentre quello grillino è un movimento che mescola in maniera confusa populismi di destra e di sinistra».
Uscire dall’euro non è una scorciatoia per evitare di affrontare le riforme strutturali di cui comunque abbiamo bisogno?
«I due aspetti sono strettamente complementari. Le riforme vanno fatte perché sono fondamentali ma è inaccettabile che i loro benefici economici vengano completamente risucchiati dai vincoli di tutti i trattati che servono a stabilizzare la moneta unica. In particolare dal Fiscal compact (che comporta una manovra annuale da 50 miliardi per 20 anni). Persino Visco, il ministro dell’Economia di Romano Prodi, ammette che l’euro è una moneta “senza Stato” e ne denuncia la debolezza strutturale. Ma come tantissimi non giunge alle estreme conseguenze di questo ragionamento, ovvero la sostanziale impossibilità, in un momento di crisi economica, di rimanere legati a una moneta che genera soltanto effetti recessivi e devastanti per i Paesi del sud Europa come il nostro. Guardi, in questo contesto l’unica strada percorribile è quella di imporre una morte e una resurrezione, ovvero distruggere l’euro per far risorgere l’economia europea».
In che senso?
«Se si vuole avere una moneta unica occorre ripartire con una Banca centrale europea che, sul modello della Federal Reserve americana, sia veramente e completamente prestatore di ultima istanza sul debito pubblico degli Stati membri e possa stampare moneta come risposta anticiclica nei momenti di crisi. Una scelta che la Germania ha sempre avversato con tutte le sue forze perché l’attuale euro le consente di affrontare la globalizzazione scaricandone i costi su tutti gli altri Paesi europei. Per noi la valenza dell’Europa non si traduce nell’applicare vincoli ai Paesi membri ma nella sua capacità di imporre alle potenze emergenti (la Cina innanzitutto) regole che finalmente impediscano loro di colpirci con la concorrenza sleale che viene dal dumping ambientale e sociale. Se questo non avverrà, continueremo a dibatterci nella crisi più o meno latente di un’area economica vincolatissima e senza prospettiva di crescita nell’economia globale».