L’altro virus da debellare è il regionalismo. Il disastro sanitario figlio della riforma del Titolo V della Costituzione

Il virus riesce in quello che decenni di politica e mediazioni non erano riusciti ad ottenere. Nella fattispecie la pandemia è riuscita, con incredibile rapidità e solerzia, a mettere in luce tutte le enormi contraddizioni e i difetti della pasticciata riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, fatta dal centrosinistra per contrastare le spinte indipendentiste leghiste. Ed in particolare, quello che è emerso in questi drammatici tempi, è che la sanità non può essere di competenza regionale, ma deve essere di competenza nazionale. Il regionalismo può forse (con alcuni grossi paletti) funzionare in tempi di normalità, ma non certo nei tempi eccezionali, storici, che stiamo attraversando.

Il virus ci ha mostrato tutti i limiti di un governo decentrato. Quando c’è un pericolo così grande d a fronteggiare, come in una guerra, le decisioni devono essere omogenee e istantanee per tutto il territorio nazionale e ogni potere deve essere concentrato, con i dovuti limiti costituzionali, in una o poche persone che decidono seguendo un preciso piano strategico preciso formulato da un team di scienziati autorevoli. Da noi è accaduto l’esatto contrario. Le Regioni, fin dall’inizio, se ne sono andate per conto loro. Non solo. Anche i grandi comuni, le Città metropolitane, come Milano, hanno seguito linee personalizzate, magari dettate da convenienze o pseudo – omogeneità politiche che hanno di fatto favorito il tracollo. Anche ora, ogni Regione interviene e modifica i decreti nazionali con ordinanze locali che provocano una disomogeneità perniciosa a chi deve gestire la crisi nella sua interezza.

Il Veneto permette lo jogging, la Campania “spara a vista” su chi esce. In genere, il nord preme per la riapertura perché è preoccupato dal disastro economico che incombe, il centro – sud invece ha una posizione più attendista, perché non ha certo la forte vocazione industriale del nord. Fatto sta che l’Italia è mosaicizzata in un puzzle di provvedimenti che spesso si contraddicono e si annullano a vicenda, vanificando lo sforzo nazionale. In questi tempi difficili vince chi ha un governo centrale forte e coeso come la Cina.

Certamente si tratta di un Paese comunista con una dittatura visibilissima e certamente le nostre democrazie hanno un passato e un presente ben diverso, ma resta il fatto che anche le democrazie si devono adeguare ad un governo forte e centralizzato se vogliono combattere efficacemente. In questo frangente, una o poche voci, sono meglio di molte e questo lo dobbiamo capire perché ogni errore, anche il più piccolo, può produrre in poche settimane conseguenze perniciose poi molto difficili da recuperare. Per questo sarebbe forse auspicabile, anche in questa fase, rivedere alcuni norme assolutamente inadeguate che regolano quella improvvida riforma del 2001.