Nella Sala della Regina di Montecitorio, durante la presentazione del “Rapporto europeo 2025 sull’ambiente” e del nuovo “Stato dell’Ambiente” dell’Ispra, il ministro Gilberto Pichetto Fratin ha parlato di «progressi significativi» e di una «bussola chiamata scienza». Nel videomessaggio ha rivendicato la riduzione dei gas serra, un’aria più pulita e una politica “razionale” che avrebbe restituito equilibrio tra sviluppo e tutela. Ma i dati che cita, e quelli che tace, raccontano un’altra storia: un Paese che avanza di un passo mentre l’Europa ne fa tre, e che in quasi tutte le sedi internazionali ha scelto la via dell’arretramento.
Il nuovo rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente riconosce una riduzione media delle emissioni nell’Ue, ma avverte che «solo due obiettivi su ventidue» sono sulla buona strada per il 2030. In Italia, spiega Ispra, le emissioni 2023 sono calate del 26% rispetto al 1990, ma il ritmo resta insufficiente. I trasporti e il riscaldamento civile restano fuori controllo, il consumo di suolo cresce, le risorse idriche si riducono. È un miglioramento di inerzia, non il frutto di una strategia.
L’Italia che vota contro
Mentre il ministro parla di “scienza come guida”, la diplomazia italiana è diventata il freno ecologico d’Europa. A giugno 2024 l’Italia è stata tra i pochi Paesi a votare contro la Legge europea sul ripristino della natura, che impone il recupero del 20% degli ecosistemi degradati entro il 2030. Pochi mesi prima aveva fatto altrettanto sulla direttiva Case Green, opponendosi ai limiti sulle emissioni degli edifici e alla riqualificazione energetica obbligatoria.
Sul fronte industriale, Roma ha guidato la resistenza contro lo standard Euro 7, ottenendo un regolamento più debole grazie all’alleanza con Polonia e Ungheria. Ha chiesto di riaprire la partita dello stop ai motori termici nel 2035, sostenendo i biocarburanti come “soluzione nazionale”. Ha infine votato a favore del rinnovo del glifosato per altri dieci anni, ignorando le raccomandazioni del Parlamento europeo e dell’Oms.
Scelte interne: la natura come ostacolo
Sul piano nazionale, la coerenza non migliora. Il governo ha riaperto le trivellazioni in Adriatico con il decreto “Aiuti-quater” e ha inserito la costruzione del Ponte sullo Stretto tra le opere di “pubblica utilità”, esentandolo dalle valutazioni ambientali ordinarie. La Plastic tax, pensata per ridurre gli imballaggi monouso, è stata rinviata ancora una volta, al 2026. Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, approvato nel 2024, resta privo di fondi: un elenco di buone intenzioni senza bilancio.
Sul fronte della biodiversità, la bozza di riforma della caccia prevede l’allargamento dei periodi venatori e l’uso dei richiami vivi, mentre l’Ispra certifica un declino costante della fauna selvatica. Persino le procedure di valutazione ambientale sono state “semplificate” con un decreto che riduce i controlli preventivi: lo Stato si affida alla discrezionalità delle imprese e alle strutture commissariali.
L’aria che uccide, i silenzi del ministro
Nonostante il calo di alcuni inquinanti, l’Italia è sotto condanna della Corte di giustizia europea per le violazioni croniche dei limiti di PM10 e NO₂. Nel 2024 la Commissione ha aperto nuove procedure su aria e acque reflue. Secondo l’Oms, l’inquinamento atmosferico provoca ogni anno oltre 50 mila morti premature nel Paese. Pichetto cita “progressi significativi”, ma non menziona che i progressi sono imposti da sentenze, non da politiche.
Il suo ministero rivendica “razionalità” nelle scelte, ma la razionalità dei dati dice che l’Italia è in ritardo sui target europei: il 30% di aree protette, la riduzione delle emissioni, la neutralità climatica al 2050. Il governo Meloni, in tre anni, non ha introdotto una sola riforma strutturale in campo ambientale. Ha preferito la retorica dell’equilibrio alla sostanza delle misure.
Il conto con la realtà
Alla fine, resta la distanza tra il linguaggio e i fatti. Si parla di «scienza come bussola», ignorando la scienza quando suggerisce di uscire dai fossili, di ridurre il traffico, di tassare la plastica, di ricostruire la natura. Dietro la parola “razionalità” si nasconde un modello che considera l’ambiente un costo, non un’infrastruttura del futuro.
I rapporti presentati a Montecitorio – dell’Agenzia europea e dell’Ispra – dicono che l’Italia è in ritardo, che gli ecosistemi si degradano, che il clima corre più veloce della politica. Eppure il governo continua a dichiararsi virtuoso. È la nuova frontiera del greenwashing istituzionale: la scienza come ornamento, non come guida.