Anche in Europa è tempo di pensare alle riforme

di Carlo Forte *

Dopo le audizioni ed il voto del Parlamento Europeo, il presidente Junker potrà chiudere il negoziato per l’attribuzione dei portafogli dei Commissari, ed inizierà un quinqennio che potrebbe rivelarsi decisivo per il futuro dell’Europa. Sarà decisivo perché la Commissione dovrà dimostrare quanto la sua azione potrà essere effettivamente indipendente dalle linee dettate dalle cancellerie degli Stati membri, al fine di recuperare quel ruolo che la vede come una sorta di contropotere del Consiglio e che negli ultimi anni, con la Commissione Barroso, si é obiettivamente affievolito. Nell’equilibrio istituzionale della UE, difatti, oltre a compiti esecutivi, il ruolo della Commissione é essenzialmente quello di fare le proposte legislative, per rispondere ai bisogni dei cittadini europei e prevedere norme valide nel lungo periodo. Il che non significa concentrarsi solo sul dossier macroeconomico, anzi. Temi come il lavoro, l’ambiente, l’energia, le infrastrutture, il commercio, l’industria, l’artigianato, la ricerca, l’innovazione, l’agenda digitale, ma anche la povertà, l’immigrazione, la lotta alla criminalità organizzata ed al terrorismo ed i diritti delle persone devono essere al centro dell’agenda, proprio per elaborare misure che nell’immediato possono anche sembrare poco utili, costose o poco pratiche, ma che domani ci dovranno mettere in condizione continuare ad avere pace e stabilità nel continente. In questi ambiti di intervento, sarà importante vedere un’iniziativa energica della Commissione, con quello spitrito che ebbe il presidente Delors quando elaboró, spesso in contrasto con lo stesso governo che lo aveva designato, il piano per il mercato interno e le riforme che avrebbero portato all’adozione del Trattato di Maastricht. Qui l’indipendenza della Commissione deve rivelarsi con una spinta visionaria ed a tutela del cd ‘metodo comunitario’, cosí unico nel contesto internazionale, che ha consentito all’Europa dei progressi considerevoli anche quando gli Stati membri, attraverso il Consiglio, non erano unanimemente concordi sulle singole iniziative.

Da un punto di vista macroeconomico, dove il metodo comunitario trova scarsa applicazione, la Commissione dovrà affrontare il nodo che vede opporsi i rigoristi a coloro che chiedono maggiore flessibilità per favorire gli investimenti e, dunque, la crescita. I giornali hanno presentato molto bene la contrapposizione tra le fazioni, dai risvolti strettamente politici. Da un lato vi é la linea della Cancelliera Merkel, che tende ad affermare un’interpretazione rigorista dei criteri di Maastricht. Dall’altro vi é chi spinge per favorire gli investimenti pubblici ed abbassare la stretta fiscale su famiglie ed imprese. In tale materia, il ruolo della Commissione dovrà essere chiaro: non basta proclamare il piano di investimenti, tra l’altro concordato con il Consiglio. La Commissione dovrà prendere parte alla disputa, ed essere artefice di proposte che vadano incontro alle esigenze dei cittadini europei, prime fra tutte il lavoro, in linea con quanto previsto dai Trattati. Giova ricordare la linea che ebbe la Commissione Prodi quando, per la prima volta, si era dinanzi all’esigenza di avviare la procedura per deficit eccessivo nei confronti di due Stati membri. La Commissione, posto che il Trattato lo imponeva, presentó delle proposte di sanzioni al Consiglio, anche allora presieduto dall’Italia (secondo semestre 2003); con l’attiva mediazione dell’allora presidente dell’Ecofin (Giulio Tremonti), il Consiglio decise di non avviare la procedura per deficit eccessivo, salvando di fatto i piani di ripresa dei due Paesi in questione, che avevano sforato costantemente e più del tempo consentito il criterio del 3% nel rapporto debito/PIL. Prodi, nell’annunciare l’azione in giustizia contro il Consiglio per difendere le disposizioni in materia previste dal Trattato, dichiaró che tali criteri erano ‘stupidi’, chiedendo sostanzialmente una forte riflessione sulla riforma degli stessi. In altri termini, la Commissione allora fece capire di essere a favore dei piani di investimenti per la ripresa dei due paesi in causa, pur agendo in senso inverso ed in conformità delle norme. Lo stesso dovrebbe fare la Commissione Junker: farci capire da che parte sta, pur rispettando le disposizioni di legge ed eventualmente spingendo per una loro eventuale modifica. Per dovere di cronaca, va ricordato che la Corte di Giustizia della UE decise questa disputa istituzionale a favore della Commissione, ma soprattutto che gli Stati membri in questione erano la Germania e la Francia.

L’appiattimento della Commissione sulle posizioni egemoni del Consiglio ha anche fatto identificare nella Commissione l’artefice delle politiche rigoriste della UE, accentrando su di essa le insoddisfazioni dei cittadini. E ció nonostante il Consiglio sia l’istituzione dotata di maggiori poteri (é quella che sostanzialmente decide). E’ per questo che la Commissione deve recuperare il rapporto con i cittadini europei facendo sentire la propria azione vicina alle reali esigenze ed avendo il coraggio di proposte di riforma sentite dai popoli piuttosto che dalle cancellerie.

Ma come potenziare l’indipendenza e l’azione visionaria della Commissione. Non é un caso che neli ultimi anni il ‘metodo comunitario’ abbia segnato il passo a vantaggio del metodo intergovernativo, dove i rapporti di forza sono determinati dalla maggiore o minore influenza degli Stati. Dal momento che oggi il presidente della Commissione viene designato dal Consiglio (certo, ‘tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le consultazioni’), é probabile che lo stesso sia spinto a prestate maggiore attenzione alla volontà di chi nel Consiglio mantiene il controllo del pacchetto di maggioranza. Ed in tal senso si giusitfica il ripensare all’elezione a suffragio universale diretto del presidente della Commissione, di modo da non avere un candidato che si debba preoccupare di fare una campagna elettorale che piaccia ai cittadini piuttosto che ai governi. La scelta di essere visionario appartiene poi alla sfera personale del candidato, ed in tal senso non vi é frase più bella da consegnare al nostro presidente Junker di quella che pronunciò De Gasperi, uno dei padri fondatori dell’Europa: ‘un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista alla prossima generazione’.

* Docente di Diritto dell’Unione Europea, SNA (Scuola Nazionale dell’Amministrazione)