Autonomie e gabbie salariali. Le misure che spaccano l’Italia

In porto il blitz della Lega per gli stipendi differenziati. E la riforma Calderoli aumenterà il divario tra Nord e Sud.

Autonomie e gabbie salariali. Le misure che spaccano l’Italia

Era il 26 gennaio di quest’anno quando il ministro all’Istruzione, Giuseppe Valditara, disse che “chi vive e lavora in una regione d’Italia in cui più alto è il costo della vita potrebbe guadagnare di più”, tornando all’idea di differenziare gli stipendi degli insegnanti su base regionale. Ripiombare negli anni Settanta con le gabbie salariali abolite dopo fortissime pressioni sindacali non sembra una buona idea. Secondo alcuni studi de lavoce.info la differenza salariale media tra il Nord e il Sud in Italia è del 4,2 per cento, mentre il costo della vita varia significativamente sul territorio e cresce all’aumentare, per esempio, della densità urbana, con differenze che arrivano anche a 30-40 punti percentuali.

In porto il blitz della Lega per gli stipendi differenziati. E la riforma Calderoli aumenterà il divario tra Nord e Sud

Legalizzare le differenze non era stata una buona idea negli anni ’60 e quasi tutti, a gennaio, furono d’accordo che non lo sarebbe stato nemmeno nel 2023. Il 3 maggio il ministro Valditara rispondendo ad alcune interrogazioni parlamentari spiegò di “non avere mai parlato di gabbie salariali”. La questione sembrava chiusa. E invece no. Le gabbie salariali invocate dalla Lega prima maniera, quella di Umberto Bossi, sono tornate in un velenoso ordine del giorno firmato dai leghisti Andrea Giaccone e Rossano Sasso alla guida di una schiera di colleghi. Non servono troppe interpretazioni per comprendere la proposta di “una base economica e giuridica uguale per tutti, cui aggiungere una quota variabile di reddito temporaneo correlato al luogo di attività”: per i proponenti “lo stipendio unico nazionale” potrebbe “comportare diseguaglianze sociali su base territoriale, creando discriminazioni di reddito effettivo”.

L’ordine del giorno è andato a segno, benedetto dal sottosegretario al Lavoro (il leghista Claudio Durigon) che l’ha considerato approvato dal governo evitando anche la discussione prima del voto. Marco Sarracino, deputato e responsabile Sud nella segreteria del Partito democratico, non ha dubbi: “La destra torna a sdoganare il principio delle gabbie salariali, perché con l’ordine del giorno presentato dalla Lega e approvato in piena notte, si punta esplicitamente a classificare i cittadini del Meridione e delle aree interne quali cittadini di serie B”. “Per la destra — spiega Sarracino — un medico, un infermiere, un insegnante del Sud deve guadagnare meno di un suo collega del Nord: è un colpo alla coesione e all’unità nazionale, che si aggiunge allo scellerato progetto di Autonomia differenziata, mentre già oggi lo Stato italiano investe per un cittadino del Nord circa 18mila euro l’anno, mentre per uno del Mezzogiorno circa 13mila”.

La deputata del M5S, Anna Laura Orrico, chiede se “i parlamentari meridionali e del centro di Fratelli d’Italia e di Forza Italia sono d’accordo con i loro alleati leghisti che vorrebbero introdurre le gabbie salariali per pagare di meno gli insegnanti del centro e del sud” mentre il sindaco di Firenze Dario Nardella parla di “scontro di diritti”. Il segretario generale della Cgil Sicilia, Alfio Mannino, ieri ha chiesto al presidente della Regione Renato Schifani se intende restare in silenzio, mentre Flc Cgil accusa Meloni e il governo di dare solo “risposte che dividono il Paese puntando a dividere anche i lavoratori” annunciando “lotta e mobilitazione”. L’ordine del giorno leghista, osserva qualcuno, non impegna il governo ma è solo un atto di indirizzo. È vero.

L’indirizzo del governo nei confronti del Sud però non ha bisogno di troppe conferme. L’abolizione del reddito di cittadinanza, il no al salario minimo e le modifiche del Pnrr sono scelte che danneggiano e danneggeranno soprattutto il Meridione. L’ultimo decreto Sud ha cancellato le otto Zes (Zone economiche speciali) esistenti per farne una unica. “Un modo per non farne nessuna”, osservavano nei giorni della discussione in Parlamento le opposizioni. Nel 2022 per gli sgravi in queste aree, in tutto otto da Napoli a Palermo, erano stati stanziati 1,6 miliardi di euro. Ora il governo ha allargato formalmente le Zes a tutto il Meridione, passando da 20 mila ettari di aree speciali a 10 milioni di ettari che ricomprendono tutte le aree dei Comuni.

Contemporaneamente ha accentrato le competenze in un’unica struttura al ministero di Raffaele Fitto, con sessanta tecnici dedicati per rilasciare le autorizzazioni. Un commissariamento del Sud da parte di Palazzo Chigi. “Per aprire un cinema, un centro sportivo, un negozio, e chiedere contestualmente il credito d’imposta, si dovrà presentare la domanda al ministero che secondo il’“dl Sud” avrà anche poteri derogativi ai limiti urbanistici e alla pianificazione paesaggistica di Comuni e Regioni: un potere discrezionale enorme”, spiegava a fine ottobre il deputato del Pd, Piero De Luca.

Cancellate le otto Zone economiche speciali. E Palazzo Chigi commissaria il Mezzogiorno

All’orizzonte si staglia il disegno di legge sull’Autonomia differenziata, cavallo di battaglia della Lega e del ministro per gli Affari regionali e per le Autonomie, Roberto Calderoli. A quel punto la sottrazione di ingenti risorse alla collettività nazionale e la disarticolazione di servizi e infrastrutture logistiche (come i trasporti, la distribuzione dell’energia, la sanità o l’istruzione), che per il loro ruolo nel funzionamento del sistema Paese dovrebbero avere necessariamente una struttura unitaria e a dimensione nazionale sarà legge. La sottrazione del gettito fiscale alla redistribuzione su tutti i territori potrà violare per legge il principio di solidarietà economica e sociale contenuto in Costituzione, andando a aumentare le disuguaglianze tra Nord e Sud, con un conseguente crollo sociale ed economico dei territori più svantaggiati che potrebbe mettere facilmente in crisi l’intera Italia.

A quel punto il disegno sarebbe completo. In Italia su due milioni di famiglie italiane povere, circa 775mila sono al Sud; inoltre, su 5,6 milioni di individui in condizioni di povertà, 2,3 milioni sono al Sud. In più, in misura percentuale rispetto al totale della popolazione, l’incidenza dei poveri al Sud è maggiore che al Nord, e al Mezzogiorno sono anche cresciuti nell’anno della pandemia: 9,4% nel 2020, contro l’8,6% nel 2019. Svimez sottolinea come la debolezza dei consumi degli individui sia causata da una dinamica salariale piatta (circa il 15% dei dipendenti al Sud è sottopagato, contro l’8,4% del Centro-Nord), oltre che da un tasso di disoccupazione alto e in crescita rispetto al periodo pre-Covid. A pensarci bene le gabbie salariali leghiste sono solo un tassello di un disegno più grande e più spaventoso.