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Awana Gana è sempre on air

Awana Gana è stato uno dei primi dj noto anche in tv. "Che serve per arrivare? Esperienza e cultura".

Pubblicato il 7 Settembre 20237 Settembre 2023 - Aggiornato il 7 Settembre 2023 alle 14:09 di Ubaldo Ferrini
Awana Gana è sempre on air

Awana Gana è uno dei maestri della radio, un istrione al microfono che ha contribuito, col suo talento, a costruire questo mondo passo dopo passo dagli inizi, sin da quando il lavoro di dj non era neanche codificato come tale. Dagli esordi a Radio Monte Carlo al presente su RTL 102.5 Best passando per “Domenica In”, “Discoring” e tante altre trasmissioni di successo in radio e tv, la sua è una carriera incredibile, sempre ai massimi livelli.

Nella tua lunga permanenza a Radio Monte Carlo hai vissuto un modo di fare radio molto diverso da quello attuale. Cosa sarebbe ancora utile di quel mondo ai nostri giorni?
“Premetto che spesso l’evoluzione si identifica con una involuzione. Il progresso spesso ci aiuta ma è una lama a doppio taglio. Ho iniziato a fare radio davanti al microfono, avevo quello che chiamano oggi lo sfumino per abbassare il volume, il tasto di accensione del microfono. Dall’altra parte del vetro un tecnico, un regista, un assistente e un contatto con i programmatori. Oggi posso trasmettere col computer su RTL 102.5 Best da qualunque città o posto che abbia Internet, ma non ho modo di interagire con la programmazione. Mi sono dovuto abituare, è vero che ora posso essere ovunque, la comodità, aprire il Pc e andare in diretta, però il computer parte e non lo fermi, non abbiamo modo di stoppare il disco oppure sfumarlo. È un modo diverso, però c’è comunque una presenza. Se si ha mestiere i contenuti si espongono anche in 20 secondi. Forse è un modo che facilita le cose ma toglie un po’ di umanità, spesso dico che quando uno non ha nulla da dire taccia e lasci parlare la musica. Viviamo in un momento in cui arrivare sembra facile per varie ragioni ma se non hai un po’ di esperienza e di cultura duri poco. Ma questo non interessa a tanti”.

Nel film di Falsetta “Onde Road” interpreti il ruolo di un pirata che spegne tutte le frequenze attuali per rimettere in onda il passato. Per quale motivo quel modo di fare radio, di scegliere liberamente la musica, di gestire gli interventi parlati è andato man mano scomparendo?
“Ogni tanto cerco anch’io di capire, ma penso che alla base sia la colpa di molti che si sono improvvisati artisti o “tenutari” di Radio e che il sistema glielo abbia permesso. È veramente un momento difficile dove tutto o quasi è permesso, sempre però se in linea con il politicamente corretto o con il fatto di non dover usare termini che possano offendere altri. Siamo attorniati da geni e premi Nobel… Ma garantisco che sono preoccupato nel pensare se dovessi essere operato di appendicite da uno di questi che, invece di aver scelto l’ambito artistico, abbia scelto di diventare medico, chirurgo o altro”.

Nelle tue tante esperienze televisive hai collaborato con molti personaggi di rilievo, quale esperienza ricordi con maggiore piacere?
“Così su due piedi posso dirti sicuramente l’esperienza con l’amico Corrado Mantoni col quale facevo i collegamenti esterni di “Domenica in”: un sornione di grande esperienza. C’è un episodio buffo. Per fare quei collegamenti in diretta avevamo un’equipe esterna della Rai molto ridotta. Un giorno, in una di queste dirette, quel “ragazzaccio” di Corrado, sapendo che avevamo pochi elementi tecnici e conoscendo le nostre difficoltà, durante l’ultimo collegamento da una piazza – era già buio – a un certo punto mi dice: “illuminami la piazza”. Siamo rimasti un po’ disorientati. Allora ho preso la palla al balzo e, tranquillamente, ho invitato tutte le persone presenti sotto al palco: “Prendete gli accendini e accendeteli!” e così gli ho fatto vedere la piazza illuminata con quelle fiammelle. Diversamente non era possibile accontentarlo, non avevamo altri modi. Ho svicolato insomma.
Un altro amico, Lino Banfi, grande personaggio, buffo, con il quale ho fatto una tournée per Rai Radio 2 e una fiction sempre per la Rai, ‘Angelo il custode’. Insomma la vecchia squadra con cui ho avuto la fortuna di lavorare, artisti che improvvisano sapendo quello di cui parlano, con un background, una cultura e un’esperienza incredibili. Purtroppo, attualmente, vedo i giovani un po’ sprovveduti, non hanno una base culturale, per il momento gira così”.

E per quanto concerne i musicisti?
“Mi porto dietro l’incontro con Jim Croce, quello di “Bad, Bad Leroy Brown”, che era venuto a trovarci alla radio – all’epoca ero a Radio Monte Carlo – un personaggio buffissimo, bello. Mi è piaciuto. Mi raccontava di essere tornato dalla Jugoslavia dove aveva fatto uno spettacolo e mi promise che sarebbe tornato in Europa perché aveva voglia di cercare le sue origini italiane. Nacque una simpatica amicizia, partì per gli Usa, ma qualche tempo dopo è caduto con l’aereo di un suo amico ed è finita lì, purtroppo”.

Come hai visto evolversi il mondo della televisione rispetto al passato e cosa ne pensi di quella attuale?
“Nell’ambito artistico, la formazione e le esperienze sono fondamentali. Ben venga l’improvvisazione, ma se sai di cosa stai parlando. Sono rare le persone giuste al posto giusto. A tutti dico tre cose. La mattina, dopo il caffè, prima di uscire, fermati e pensa: preparazione, motivazione e presenza. Alla fine della giornata non sarai un superuomo o una superdonna, però avrai limitato i danni. Alla base di tutto c’è la formazione che fa la differenza”.

Musicalmente ritieni che la radio sia ancora così importante per il successo di un disco? E che pensi dello stato attuale della musica italiana?
“Sicuramente è importante che un artista passi in una radio anche se non è determinante come in passato per vari motivi. In più viviamo un momento critico della discografia italiana e non solo. Ritengo che siano poche le realtà da salvare”.

di Ubaldo Ferrini

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