Beirut come Hiroshima. Le esplosioni di ieri hanno causato oltre cento morti e migliaia di feriti. Il ministro della Salute: “Aria tossica. Chi può lasci la città”

Al momento è di oltre 4.000 feriti e più di 100 morti il nuovo bilancio delle esplosioni, avvenute ieri nel centro di Beirut. A renderlo noto è la Croce Rossa. Il ministro della salute, Hamad Hasan, ha consigliato a chiunque possa di andare via dalla capitale del Libano perché i materiali pericolosi sprigionatisi nell’aria dopo le deflagrazioni potrebbero avere effetti a lungo termine mortali.

A causare le due violente esplosioni, secondo quanto ha confermato ieri sera il premier Hassan Diab, sarebbero state le oltre 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio stoccate, da circa sei anni, in uno dei magazzini del porto. Secondo i media locali la deflagrazione sarebbe avvenuta mentre alcuni operai stavano saldando un piccolo foro in uno dei contenitori dove era conservato il materiale esplosivo.

Le immagini della zona sud della città raccontano di interi quartieri trasformati in campi di guerra; feriti e cadaveri a terra, auto sventrate ricoperte da polvere e detriti. Travolti dall’onda della deflagrazione molti edifici, alcuni completamenti distrutti. Persino degli ospedali sono stati investiti dall’onda d’urto. Danneggiata una delle navi Unifil della task force di pace ormeggiata nel porto; feriti diversi militari, uno dei quali appartiene al contingente italiano. Pure il palazzo del governo ha subito dei danni; contusa la moglie del primo ministro Diab il quale ha assicurato che tutti i responsabili saranno “chiamati a risponderne”.

Il capo di governo ha rivolto ieri sera un “appello urgente a tutti i Paesi amici e fraterni che amano il Libano perché stiano al nostro fianco e ci aiutino a lenire le nostre ferite profonde”. L’esplosione arriva in un momento delicato per il Libano, con una crisi economica che riaccende le vecchie divisioni, il lockdown per la pandemia ancora in corso e le tensioni acuitesi in vista del verdetto di venerdì per il processo per l’uccisione dell’ex primo ministro Rafik Hariri avvenuta nel 2005.