di Filippo Conti
“Questa esperienza di governo è finita. Si va al voto”. Alla fine della riunione con i parlamentari del Pdl alla sala Regina di Montecitorio, Silvio Berlusconi suona il “de profundis” delle larghe intese. Muoia Sansone con tutti i filistei, dunque. A nulla è servito il pranzo con Angelino Alfano e gli altri ministri pidiellini. Un incontro molto duro in cui il Cavaliere ha detto a brutto muso al vicepremier “o con me o contro di me”. Un Berlusconi inviperito contro la fronda dei ministri e delle colombe, che considera un vero e proprio tradimento nei suoi confronti. “Chi non è con me nella mia battaglia contro la magistratura politicizzata vuol dire che non ha capito nulla degli ultimi vent’anni”, ha detto il Cav ad Alfano. I ministri in mattinata pensavano di aver ancora qualche chance di portare l’ex premier a più miti consigli. E hanno messo le mani avanti anche di fronte alla possibilità di un “metodo Boffo” da parte del Giornale di Alessandro Sallusti. “Non ci facciamo intimidire, non abbiamo paura”. “Nemmeno io”, la risposta del direttore del quotidiano di Via Negri.
Poi, alle sei di pomeriggio, il Cav arriva a Montecitorio. Molti volti sono terrei. Alfano è impietrito. Quagliariello ha lo sguardo fisso nel vuoto. De Girolamo e Lorenzin ascoltano in piedi stropicciandosi le mani dal nervosismo. “I panni sporchi si lavano in casa”, ripete il Cavaliere più volte. “Ho preso io la decisione di far dimettere i ministri, me ne assumo tutta la responsabilità”. Poi dà al governo una settimana di vita, “per senso di responsabilità”. “Assicuriamo in una settimana l’approvazione del decreto Iva, della legge di stabilità e dell’abolizione della seconda rata Imu senza aumento delle tasse. Poi si chiude e si va a votare”. Il leader del centrodestra, inoltre, dice “no a governicchi con maggioranze raffazzonate, transfughi e con gente scappata di casa”. Conferma le dimissioni dei ministri. Comprese quelle dei sottosegretari. Non parla, però, di quelle dei parlamentari. A quel punto Fabrizio Cicchitto chiede di parlare, ma viene zittito a brutto muso dai capigruppo Schifani e Brunetta. Parla solo Berlusconi. Niente dibattito. “Roba da matti, una cosa surreale”, dice un parlamentare uscendo dalla sala. Poi arriva Cicchitto. “Per fare le cose che ha chiesto Berlusconi ci vuole un governo nel pieno delle sue funzioni e non un esecutivo con quattro ministri dimissionari. Occorreva un ulteriore chiarimento, anche domani (oggi, ndr), ma mi è stato detto di no”, racconta il presidente della commissione Esteri.
Poi, alla spicciolata, escono anche gli altri. De Girolamo ha gli occhi sgranati. “Ormai è chiaro che si va a votare, non ci sono più margini di trattativa”, dice il ministro delle Politiche Agricole. Le colombe hanno l’aria affranta, i falchi sono raggianti. “Che vi avevo detto? Preparatevi che si va a votare”, dice Augusto Minzolini, attraversando il Transatlantico.
Altri, però, danno una lettura leggermente diversa. “Dare una settimana al governo sembra quasi voler evitare il voto di mercoledì sulla fiducia. Potrebbe essere un segnale per Letta. Come a dire: trattiamo, ma i miei ministri li controllo io”, osserva un senatore. Mentre Maurizio Gasparri, seduto su un divanetto, si chiede: “Ma come si fa a votare la legge di stabilità in una settimana?”. Insomma, la situazione rimane confusa. E il Pdl sembra sempre più un partito nel caos. Gli unici dati che si possono evincere sono che le elezioni sono più vicine e che le colombe, compresa la squadra dei ministri, si sono prese una gran lavata di capo. Resta ora da vedere se qualcuno insisterà nella fronda oppure se tutti si riaccoderanno al Cavaliere. In Senato, intanto, il pallottoliere continua a girare: almeno 8 peones pidiellini sono pronti a votare per Letta, ma a questo punto non è detto che domani si voti la fiducia.