Biden piange il dissidente russo Navalny. Ma poi perseguita Assange

La principale causa della morte di Navalny è Putin, una delle molte malattie difficili da eradicare in questo tempo.

Biden piange il dissidente russo Navalny. Ma poi perseguita Assange

Quali siano le cause ufficiali del decesso del dissidente russo Alexei Navalny, il principale oppositore di Vladimir Putin, ci interessa poco. Nell’attuale Russia chiunque si opponga ai voleri del satrapo Putin cade accidentalmente da una finestra, muore in un magico incidente stradale o, come Navalny, averte un malore dopo una passeggiata ma nonostante “tutte le misure di rianimazione necessarie” queste “non hanno dato risultati positivi”.

La principale causa della morte di Navalny è Putin, una delle molte malattie difficili da eradicare in questo tempo

La principale causa della morte di Navalny è Vladimir Putin, una delle molte malattie difficili da eradicare in questo tempo in cui i tiranni usano il carcere come sacco dell’umido dei loro oppositori. Salvatosi dall’avvelenamento Navalny sottoposto al regime di isolamento e a punizioni per la sua condotta e per le sue manifestazioni di protesta. Il carcere in casi come questi è semplicemente il viatico legale alla morte. La cella diventa il luogo in cui il potere può esercitare la propria prepotenza per logoramento, dove può zittire le voci dissonanti e dove può esibire il pugno di ferro perché la lezione disinneschi i Navalny che potrebbero emergere. È comprensibile che il mondo occidentale, auto proclamatosi difensore del diritto, oggi si indigni per un uomo morto ben prima di ieri.

L’indignazione contro l’autoritarismo del Cremlino non si addice a chi vuole seppellire la libertà di stampa

Neutralizzato nella sua funzione politica e isolato dal resto del mondo Navalny era già un cadavere che semplicemente respirava. A ben vedere ce n’è un altro, quasi più scomodo. Fra tre giorni potrebbe essere estradato negli Stati Uniti Julian Assange, fondatore di Wikileaks. Da 5 anni Assange è detenuto nel carcere londinese di massima sicurezza di Belmarsh. Washington accusa il giornalista australiano di aver diffuso migliaia di dossier riservati, reato per cui rischia una reclusione fino a 175 anni. Grazie alla pubblicazione di quei documenti il mondo ha aperto gli occhi sull’orrore delle guerre in Iraq e Afghanistan.

Assange, 52 anni, affronterà la prossima settimana un’udienza dalla quale dipende la sua sorte: due giudici britannici sono chiamati a riesaminare, il 20 e 21 febbraio, la decisione del 6 giugno scorso con cui l’Alta Corte di giustizia di Londra ha affermato che non può ricorrere in appello all’estradizione decisa dal governo britannico nel giugno 2022. La direttrice di Wikileaks, Kristinn Hrafnsson, ha sottolineato che l’estradizione di Assange creerebbe un precedente dalle “implicazioni gravi e buie per la libertà di stampa attraverso il mondo”.

Il fondatore di Wikileaks Julian Assange affronterà la prossima settimana un’udienza dalla quale dipende la sua sorte

Assange era stato arrestato dalla polizia britannica nel 2019 dopo 7 anni di reclusione nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per evitare l’estradizione verso la Svezia nell’ambito di un’imputazione per violenza sessuale, successivamente archiviata. Il cittadino romano Assange – la cittadinanza onoraria è di due giorni fa – viene ritenuto pericoloso dal governo che ha smascherato nei suoi crimini di guerra. I valori di Assange sono gli stessi di chi combatte per la democrazia: Navalny ha denunciato al mondo il regime putiniano che con la violenza disarticola gli oppositori mentre Assange ha denunciato l’ipocrisia militare con cui gli Usa hanno hanno usato l’esportazione di democrazia come coperte di interessi molto più meschini.

Oggi non sentirete un’indignazione all’unisono. Per di più Assange ha la colpa di essere ancora vivo. I due consiglieri comunali a Roma di Italia viva due giorni fa dicevano che “quella di Assange è una vicenda ben diversa, dai contorni opachi” perché “le sue azioni hanno messo a repentaglio la sicurezza e la vita di molti”: sono le stesse parole con cui Putin puntava il dito contro Navalny.