Casaleggio parla a Conte perché Grillo intenda. A preoccupare il capo di Rousseau sono le alleanze con il Pd spinte dal garante

Davide Casaleggio è arrivato qualche giorno fa a Roma ed ha iniziato a vedere la sua gente. Con questo aggettivo intendo il gruppo ristretto di Rousseau formato da Enrica Sabatini e Pietro Dettori per l’occasione due giorni fa in una trattoria testaccina, quartiere caratteristico di Roma, dove il piatto forte non era però la coda alla vaccinara, ma Alessandro Di Battista in persona, il Grande Reprobo, lo Sfidante, il Perturbatore. Ieri invece ha incontrato il premier Giuseppe Conte e per oggi è previsto un incontro con il ministro degli Esteri ed ex capo politico del Movimento Luigi Di Maio. Come si vede si tratta dei massimi vertici del Movimento e del premier. Con Conte c’è stata una “due ore” molto intensa, con Casaleggio che ha dichiarato di aver parlato di tutto ed anche, naturalmente, delle alleanze alle regionali.

Il capo di Rousseau non è sfuggito, anche questa volta, agli strali del giornalista de La Stampa Jacopo Iacoboni, che se l’è legata al dito perché non gli fu permesso di entrare ad una kermesse ad Ivrea e da allora lo impallina con crucca puntualità su Twitter. Ma quale è la cifra politica di questa discesa romana dell’erede del cofondatore? Casaleggio ha due problemi da risolvere, entrambi complessi: il primo è definire il rapporto con Grillo o meglio con l’attuale sua visione strategico deduttiva che si declina come alleanza stretta con il Partito democratico. Il secondo problema, ma anche opportunità, è invece il ruolo di Di Battista.

Il capo di Rousseau non è stato mai molto entusiasta del governo giallorosso e neppure Di Maio, per sua stessa ammissione, però ha ceduto alle pressioni di Grillo che in quel momento voleva comunque continuare l’esperienza di governo con un alleato più affidabile dell’imprevedibile Salvini. Probabilmente lui e Grillo si incontreranno a breve per chiudere la quadra. Il secondo punto – che però ha addentellati nel primo – è, come detto, Di Battista. E qui dobbiamo necessariamente far notare come l’anima dei Cinque Stelle sia duplice e ambigua, come del resto è in tutti i movimenti populisti: c’è una componente di sinistra, probabilmente dominante, ma anche una di destra minoritaria, ma sempre attiva. E la prova provata di questa affermazione, a parte i sondaggi interni, è nella formazione di due governi opposti ideologicamente: il gialloverde prima e il giallorosso dopo.

L’anima di destra è rappresentata proprio da Alessandro Di Battista il cui padre Vittorio, ricordiamolo, si è definito orgogliosamente “fascista”. L’ex deputato è infatti strutturalmente ostile alla sinistra, ai “comunisti” e le sue affermazioni sono piuttosto il riflesso di una ideologia appunto di destra sociale che possono in un primo tempo ingannare. Anche Casaleggio ha simpatie più conservatrici che di sinistra e un rapporto di reciproca simpatia tra i due c’è sempre stato. Lo stesso Di Maio, per quanto abile a dissimulare, è più legato alla “destra” e anche suo padre è stato un esponente dell’Msi. Di Battista, qualche tempo fa, ha sfidato il padre fondatore, chiedendo un congresso del Movimento mettendolo a rischio di una scissione. Tuttavia, come anticipato, Diba non è solo un problema, ma può essere anche una utile risorsa per Casaleggio nel gioco di potere ai vertici dei Cinque Stelle. Per questo la visita romana di questi giorni ha un grande significato da non sottovalutare.