Il 28 maggio 2025 il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Ragusa ha disposto il rinvio a giudizio per l’equipaggio della Mare Jonio, nave umanitaria dell’ONG Mediterranea Saving Humans. L’accusa: favoreggiamento dell’immigrazione clandestina aggravato dal profitto. Tra gli imputati figurano il comandante Pietro Marrone, il capo missione Giuseppe Caccia, il coordinatore Luca Casarini, la rappresentante dell’armatore Alessandro Metz e altri membri dell’equipaggio, tra cui la dottoressa Agnese Colpani.
Il procedimento riguarda un’operazione di soccorso avvenuta nel settembre 2020: 27 migranti, abbandonati per 38 giorni a bordo della petroliera danese Maersk Etienne, furono trasbordati sulla Mare Jonio e sbarcati a Pozzallo. Per la Procura di Ragusa, quell’intervento non fu dettato solo da ragioni umanitarie: un bonifico da 125.000 euro versato successivamente da Maersk alla Idra Social Shipping – società armatrice della Mare Jonio – configurerebbe secondo l’accusa un “accordo economico” e quindi un intervento a pagamento.
Dovere morale, diritto penale
La difesa respinge con fermezza questa impostazione. Il versamento danese, affermano gli avvocati, fu un contributo volontario ai costi sostenuti, in assenza di qualsiasi accordo preventivo. Come indicherebbero le testimonianze degli stessi rappresentanti Maersk, accorsi a Ragusa per chiarire la natura del pagamento. La Mare Jonio, ribadiscono gli imputati, agì per adempiere al dovere di salvataggio sancito dal diritto internazionale del mare: “salvare vite non è un crimine”, recita il comunicato di Mediterranea.
Il nodo giuridico si stringe attorno alla cosiddetta “scriminante umanitaria”: una direttiva europea del 2002 prevede che gli Stati membri possano esentare da sanzioni chi favorisce l’immigrazione “allo scopo di prestare assistenza umanitaria”. Lo stesso pubblico ministero aveva chiesto la sospensione del procedimento in attesa del pronunciamento della Corte di Giustizia UE sul caso Kinsa, che verte proprio su questo principio. Il giudice ha rigettato la richiesta, scegliendo di procedere comunque.
Un processo politico travestito da penale
“Diventerà un processo all’omissione di soccorso”, ha dichiarato Casarini all’uscita dal tribunale. Le sue parole trovano eco nei dati: secondo l’Unhcr, quello della Maersk Etienne fu “il più lungo e drammatico stallo umanitario mai registrato” nel Mediterraneo centrale. Un immobilismo europeo che lasciò 27 persone alla deriva per 38 giorni, fino a che la Mare Jonio non intervenne.
La dinamica giudiziaria appare paradossale: viene processato chi ha agito, non chi ha lasciato. Eppure è difficile ignorare il contesto: intercettazioni, perquisizioni, accuse di spionaggio, e l’utilizzo di strumenti d’indagine che hanno lambito persino le conversazioni tra avvocati e assistiti. Ma almeno il processo servirà a chiarire definitivamente i contorni di questa vicenda.
Reazioni, contronarrazioni e precedenti
La stampa di destra titola “profitto sui migranti”, mentre le voci della società civile parlano apertamente di persecuzione giudiziaria. Tutti i procedimenti simili in Italia – dalla Iuventa alla Sea-Watch – si sono conclusi con archiviazioni o assoluzioni. Eppure la macchina dell’intimidazione continua a girare. Mediterranea ha risposto con una nuova nave: l’ex Sea-Eye 4 diventa la nuova ammiraglia della “flotta civile di soccorso”, simbolo di una solidarietà che non si ferma neanche di fronte ai processi.