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C’è un… Brigante on air. Radio 105 è sempre al Max

Su Radio 105 ogni giorno Max Brigante ci fa compagnia dalle 20 alle 21 col suo Mi Casa e, nel weekend, con Mamacita Radio Show.

Pubblicato il 12 Ottobre 202312 Ottobre 2023 - Aggiornato il 12 Ottobre 2023 alle 16:10 di Ubaldo Ferrini
C’è un… Brigante on air. Radio 105 è sempre al Max

Speaker radiofonico, Dj, direttore artistico e conduttore tv, manager di importanti artisti del panorama nazionale. Da vent’anni a Radio 105, ogni giorno Max Brigante ci fa compagnia dalle 20 alle 21 col suo Mi Casa e, nel weekend, con Mamacita Radio Show.

Chi era Max prima di Radio 105?
“Era un ragazzo, giovane intanto, che già voleva fare quello che poi ha realizzato a 105. Poco prima era un ragazzo che trasmetteva in Rai su Radio2 e un po’ prima ancora, invece, come ha fatto la maggior parte dei colleghi della mia generazione, in una radio provinciale del varesotto, Radio Lupo Solitario, un’emittente molto alternativa e molto formativa. Le storie si assomigliano, quelle esperienze nelle radio provinciali, assimilabili alla gavetta, sono fondamentali. Il nostro lavoro ha la meraviglia di essere sempre uguale, sei tu con un microfono, uno studio che può essere più o meno bello, la potenza del microfono può essere per cento o per uno, però il lavoro che fai è sempre quello, sei tu con la tua comunicazione”.

Cosa ne pensi di quel fenomeno, di tutto quel substrato di radio locali dalle quali siete partiti che si sta trasformando sul web o va via scomparendo?
“Sì, è vero, in parte stanno scomparendo, molte per dare vita a nuove forme. Prima assimilavo la radio locale alla gavetta. Oggi non fai più la gavetta nelle emittenti locali ma la puoi fare attraverso un podcast che ti crei attraverso un contenuto audio-video su YouTube. Ci sono molti modi per esprimere sé stessi, anche più completi rispetto alla semplice radio locale dalla quale siamo partiti noi. Fa tutto parte di un normale processo di evoluzione, forse sarebbe peggio se, ancora oggi, nel 2023 avessimo lo stesso disegno, la stessa mappa radiofonica che avevamo negli anni ’80 e ’90. Tutto cambia, tutto si evolve. Cosa resta uguale? Che se un ragazzo oggi a 15/16/17 anni sente il desiderio di esprimersi attraverso l’utilizzo della voce, in modo “radiofonico” – termine che, forse, per lui non è più la parola giusta -, ha molte vetrine da utilizzare, tante esperienze formative da attraversare”.

Manca, forse, quel fenomeno di aggregazione, del lavorare insieme. Adesso più che un gruppo che lavora per un progetto si è dei singoli…
“Questo sì, però ricordiamoci che ci sono i collettivi, ci sono molti podcast fatti da più persone, molto interessanti, ci sono le radio universitarie. In realtà ci sono tutta una serie di realtà che permettono di conoscere questo lavoro e di conoscersi attraverso questo lavoro perché ogni lavoro artistico ti permette proprio questo, di scavare in profondità su te stesso. I primi anni servono anche per capire se sei fatto realmente per quel lavoro, te ne accorgi tu stesso in rapporto a quello che fai tutti i giorni. Credo che le esperienze, gli spazi, siano di nuovo possibili, diversi certamente. Anche noi che facciamo radio da tanto, la abbiamo vista cambiare nel corso degli anni; è molto bello quando qualcosa cambia rimanendo la stessa cosa negli assunti iniziali. Io la vivo un po’ così, quando mi metto a esplorare il mondo dei podcast trovo tantissime realtà interessanti”.

Sei anche un produttore, come vedi adesso il rapporto tra radio e musica? La radio è sempre una cassa di amplificazione importante per lanciare dei progetti?
“Sì. Assolutamente importante. Ho letto l’altro giorno una story di Fabri Fibra che diceva che se un pezzo non passa in rado non è una hit e, per certi generi, è ancora assolutamente così, per il pop non è una hit se non passa in radio. Il pop ha bisogno di una amplificazione radiofonica importante e questo lo vediamo ogni estate dove c’è la guerra per potere entrare nelle programmazioni radiofoniche, per poter partecipare alla corsa dei tormentoni estivi. Quindi la radio è sicuramente fondamentale. Poi il digitale oggi ci permette di sviluppare tutta un’altra serie di hit per cui Shiva, ad esempio, non ha bisogno della radio per produrre e affermare una sua hit. Dipende dai generi musicali, esattamente come accade all’estero, però la radio è ancora assolutamente rilevante nell’amplificazione e nell’affermazione di un artista e credo che stia diventando interessante (e siamo solo all’inizio di un cambio pelle) anche per quanto riguarda il supporto ai giovani artisti. Ci sono due radio dedicate, ci sono la nostra, per esempio, che dà ampio spazio anche ad artisti molto giovani che hanno delle buone performance sulle piattaforme digitali e che ancora non sono così “larghi” per un pubblico nazional-popolare, ma che iniziano ad avere delle buone possibilità radiofoniche”.

Come funziona la scelta della musica della tua trasmissione?
“C’è un ufficio musicale, c’è un head of music, Maurizio Franciosi, col quale c’è un buon dialogo, lui sa bene da dove arrivo e io sono facilitato perché sono un professionista che arriva alla radio dalla musica. Io sono approdato a 105 venti anni fa perché ero un DJ con una serie di serate di successo e il primo spazio che mi diedero erano dei miei mixati delle mie serate. La musica nel mio programma è fondamentale, intervisto i cantanti, parlo dei dischi, per cui non avrebbe senso una programmazione non fatta ad hoc all’interno della mia trasmissione. Con Maurizio Franciosi c’è uno scambio, lui sa i mondi che mi interessano e trovo sempre una programmazione allineata”.

Prima accennavi a Fabri Fibra, come vedi la trap rispetto al rap, un’evoluzione, un’involuzione, un semplice cambiamento?
“La trap è un fenomeno mondiale che ha portato un nuovo suono che si è affermato con grande forza fotografando una generazione, è una derivazione. Arriva nel 2016, siamo nel 2023, esiste ancora, ha una sua forza, una sua identità, un suo ruolo sociale, ne andremo a leggere sui libri di storia della musica nei prossimi anni. Ha il grande merito di aver tirato fuori nuovi artisti che poi, probabilmente, nel corso della loro carriera (come hanno fatto quelli prima di loro) avranno un’evoluzione, magari si staccheranno dal genere d’origine, ma questo non è nulla di nuovo, vedi Jovanotti e tanti come lui e ha il grande merito di avere abbassato l’età media e di aver dato ai produttori un ruolo più importante. Pertanto, al di là delle polemiche sui testi della trap, penso ci siano tutta una serie di fattori estremamente positivi”.

di Ubaldo Ferrini

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