Un carcere trasformato in un hub illegale dove cellulari, smartwatch e perfino cocaina circolano tra le sbarre come fossero beni di prima necessità. È l’immagine inquietante che emerge dalla prima tranche di indagini concluse dalla procura di Prato sulla casa circondariale della Dogaia, al centro di uno scandalo che coinvolge 33 detenuti.
L’accusa? Aver introdotto e usato, all’interno dei reparti di media e alta sicurezza, ben 41 dispositivi – tra telefonini, microcellulari, smartwatch e schede telefoniche – per comunicazioni clandestine e, probabilmente, per alimentare un giro illecito ben più ampio. Gli indagati provengono da un mosaico di nazionalità: italiani, albanesi, macedoni, georgiani e filippini. Un sistema rodato, con metodi sempre più ingegnosi: non è mancata la droga, nascosta in contenitori di sugo di carne oppure celata in una cella o in pacchi di abiti destinati ai detenuti.
Cellulari e droga nel carcere di Prato: la Procura mette nel mirino 33 persone
Gli inquirenti parlano apertamente di un “pervasivo tasso di illegalità” all’interno della struttura, dove solo negli ultimi giorni sono stati trovati ulteriori quantitativi di hashish: 5 grammi scoperti ieri in un pacco destinato a un recluso, altri 40 rinvenuti sabato scorso dentro un frigorifero, e ancora 5 grammi recuperati il 17 luglio direttamente in una cella.
Ma non è tutto. La procura ha notificato l’avviso di conclusione indagini anche per la rivolta scoppiata il 5 luglio scorso nel carcere pratese. A rispondere dei disordini sono altri detenuti – italiani, albanesi, marocchini e polacchi – tra cui figura anche il cittadino romeno trovato morto in isolamento meno di due settimane dopo. Un decesso che ha subito sollevato sospetti e che ha spinto gli inquirenti a escludere l’ipotesi del suicidio. L’autopsia parla di arresto cardiaco, ma si attendono i risultati degli esami tossicologici per stabilire le cause precise.