Le Lettere

Cent’anni di abitudine

Zelensky, dopo l’incontro con Trump a San Pietro e la svendita delle terre rare, pare sia uscito dalla depressione e si sia ringalluzzito. Si sente appoggiato dagli Usa e desso arriva a minacciare la Russia.
Sara Bellini
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Gentile lettrice, ringalluzzito grazie agli astuti Macron e Starmer, che gli hanno suggerito di chiedere un mese di tregua, che Mosca ovviamente non poteva accettare giacché i russi avrebbero dovuto fermare l’avanzata mentre Kiev indisturbata avrebbe continuato a fare il pieno di armi occidentali. Gli americani, che un po’ ci fanno e un po’ ci sono, non hanno gradito il ‘Niet’ di Putin. E poi è merito anche delle terre rare: lo Zio Sam, quando vede zampillare dollari, va in brodo di giuggiole. Per il resto, credo lei alluda alla rozza minaccia enunciata da Zelensky: “Non rispondo della sicurezza [dei capi di stato internazionali, ndr] alla parata del 9 maggio a Mosca”. Frase dal significato fin troppo chiaro, specie dopo i tanti attentati plausibilmente condotti dai servizi ucraini sul territorio della Russia: un generale ammazzato giorni fa a Mosca, vari giornalisti assassinati, la politologa Daria Dugina fatta saltare in aria, ecc. Mosca non ha risposto, tranne il solito Medvedev che a titolo personale ha replicato su X col minimo sindacale: “Se il 9 maggio succederà qualcosa a Mosca, Kiev non arriverà al 10 maggio”. Sa come ha titolato il Corriere della sera? “Mosca minaccia Kiev”, giusto per ricordarci che la verità è morta. Del resto, è dal 1922, quando sostenne fortemente la marcia su Roma, che il Corriere ne è il becchino. Cent’anni di abitudine, direbbe Garcia Màrquez.