Non è una guerra. È una catastrofe scientificamente organizzata. È il genocidio trasmesso in diretta, mentre i governi d’Europa barattano la diplomazia con la viltà e fingono di non vedere le foto dei bambini morti di fame. Centoundici. Centoundici esseri umani morti per fame a Gaza secondo il bilancio di ieri. Dieci solo nelle ultime ventiquattro ore. Una fame che non è frutto di siccità o carestie naturali, ma di un assedio totale imposto da Israele, come conferma Amnesty International. Nessun aiuto entra. Nessuno esce. Neanche i giornalisti, che ora muoiono insieme alle storie che non possono più raccontare.
Il governo israeliano bombarda ospedali, campi profughi e famiglie in fila per una razione di pane. Ventuno uccisi nell’ultimo raid. Oltre metà donne e bambini. L’Idf colpisce la sola chiesa cattolica di Gaza, e ora ammette “un errore” e poi prolunga la detenzione del direttore degli ospedali locali. Intanto, secondo Haaretz, più di mille persone sono state ammazzate mentre cercavano cibo.
E ieri, a Roma, si è giocata la pantomima della pace: Steve Witkoff, emissario di Trump, incontra Qatar e Israele in un negoziato che sa di lavata di coscienza, mentre a Gaza i corpi si moltiplicano e la verità viene seppellita sotto le macerie.
C’è un nome per tutto questo: sterminio. E chi oggi continua a parlare di “conflitto” o “operazioni militari” è complice. Tacere è collaborare. Minimizzare è mentire. Fingere equilibrio è scegliere la parte del carnefice.
Il tempo dei giri di parole è finito. A Gaza si muore. Di fame, sotto le bombe, nel silenzio. E chi non lo urla ora, non potrà mai più dire: “Non lo sapevamo”.