Cori fascisti nella sede di Fratelli d’Italia a Parma, commissariata Gioventù Nazionale

Cori fascisti nella sede di Fratelli d’Italia a Parma, commissariata Gioventù Nazionale

Il video inizia a circolare la notte del 28 ottobre, la stessa data della marcia su Roma. Dentro la sede di Fratelli d’Italia a Parma, in Borgo del Parmigianino, un gruppo di ragazzi canta «Me ne frego», poi «camicia nera trionferà» e infine «Duce, Duce». Sullo sfondo il tricolore, le risate, un brindisi. La scena, ripresa e pubblicata su Instagram, mostra chiaramente l’insegna del partito. È la sede provinciale del movimento giovanile di FdI, Gioventù Nazionale, oggi commissariata «per incompatibilità politica» dal coordinamento regionale.

Il sindaco Michele Guerra parla di «squallida propaganda», ricordando che Parma «non ha mai ceduto all’odio che ottant’anni fa cercò di travolgerla». Il Pd locale aggiunge: «Questa città non dimentica, nel 1922 alzò le barricate contro i fascisti». E dai vertici democratici arriva la richiesta a Meloni di una condanna esplicita: «Presidente, questa volta tace o condanna?» chiede l’europarlamentare Sandro Ruotolo.

Il partito e la memoria selettiva

L’episodio di Parma non è un’anomalia. È il più recente sintomo di una nostalgia che riaffiora ciclicamente nelle sezioni giovanili e locali di Fratelli d’Italia. Nel giugno 2024 l’inchiesta di Fanpage aveva documentato saluti romani, cori e inni al Duce tra gli iscritti di Gioventù Nazionale. La premier reagì denunciando il “metodo d’infiltrazione” dei giornalisti, più che i contenuti dei video.

Un anno prima, il 25 aprile 2023, alcuni militanti di FdI a Grosseto avevano celebrato la “festa della libertà” postando la foto di Mussolini con la scritta «onore al Duce». A Roma, nel 2022, durante il congresso giovanile del partito, circolavano magliette con il motto «Boia chi molla» e un busto del fondatore del MSI Giorgio Almirante campeggiava sul palco.

Dopo ogni episodio arriva una formula rituale: commissariamento, presa di distanza, silenzio della premier. È accaduto a Verona, dove un dirigente locale di FdI aveva pubblicato un selfie davanti alla tomba di Mussolini; è successo a Catania, dove il vicepresidente del consiglio comunale si era definito «fascista del terzo millennio»; è successo a Roma, quando alcuni iscritti avevano marciato al cimitero del Verano con le braccia tese.

La linea Meloni: condannare senza rompere

Da quando è a Palazzo Chigi, Giorgia Meloni adotta la stessa strategia: smentire di essere nostalgica, ma senza mai usare la parola “fascismo”. In un’intervista alla Bbc del 2023 spiegò che «la destra italiana ha consegnato alla storia il fascismo da decenni». In patria, però, la fiamma tricolore nel simbolo del partito resta. Quando nel luglio 2024 le opposizioni le chiesero di rimuoverla, rispose che «rappresenta la continuità della democrazia italiana», ribaltando il senso storico di quel segno.

Il risultato è un’ambiguità funzionale: la premier rassicura i moderati e insieme evita di alienarsi quella parte di militanza che ancora considera Mussolini un “padre della patria”. Dopo i cori di Parma, da Palazzo Chigi non è arrivata (ancora) alcuna dichiarazione. L’unica voce ufficiale è stata quella del deputato Giovanni Donzelli, che ha difeso il commissariamento «avvenuto prima della pubblicazione del video» e ha accusato la sinistra di “strumentalizzare”.

Una questione di cultura politica

Il caso di Parma pesa più di un episodio locale. È la prova che, dentro un partito di governo, esiste ancora un’area che non riconosce pienamente la cultura antifascista su cui si fonda la Costituzione. Ogni volta che un militante di FdI urla «Duce» o saluta romanamente, non è solo una provocazione: è una lesione simbolica dell’identità repubblicana.

La differenza, oggi, è che quella cultura nostalgica non vive più ai margini ma all’interno del partito che guida il Paese. E la minimizzazione sistematica della presidente del Consiglio – che preferisce parlare di “ragazzate” o di “strumentalizzazioni” – finisce per legittimare un revisionismo di fatto.

Dopo Parma, il coordinamento di Gioventù Nazionale ha promesso “rigore e chiarezza”. Ma la chiarezza vera resta politica: o si dichiara incompatibile il fascismo con la destra di governo, oppure si accetta che quei cori – «Me ne frego», «camicia nera trionferà» – continuino a risuonare come una colonna sonora non ufficiale della legislatura.