Dal Governo nessuna forzatura, lo spoil system è necessario. Parla il padre della sociologia italiana Franco Ferrarotti

Franco Ferrarotti a 92 anni suonati conserva una visione lucida della società e della politica anche quando cambia forme e assetti

Franco Ferrarotti ha vissuto almeno due o tre vite. Ma a 92 anni suonati conserva una visione lucida della società e della politica anche quando cambia forme e assetti. Tra i tre più stretti collaboratori di Andriano Olivetti, insieme a Renzo Zorzi e Geno Pampaloni che hanno accompagnato l’imprenditore dell’utopia di Ivrea fino all’ultimo, osserva il tempo presente con occhio critico, e mai scontato. Fulminante e autoironico come solo un grande intellettuale riesce ad essere. “Dicono che io sia il padre della sociologia italiana. Ma, come si dice, la madre è sempre certa, il padre molto meno” si schermisce prima di rispondere alla domanda che tiene banco in queste ore. Contrassegnate da una serie di nomine di peso da parte dell’esecutivo gialloverde. Un nuovo assetto che fa scalpitare le opposizioni.
“Non mi pare che vi siano grandi ragioni per scandalizzarsi, si tratta di pratiche normali in un regime democratico. La Prima Repubblica è nata così: anzi. Le nomine, allora, erano addirittura suddivise per correnti politiche”.

Ma si tratta di una mera sostituzione di potere o in questo riassetto legato alle nomine pubbliche si può intravvedere qualcosa di più e di diverso?
“Certamente il mutamento intervenuto nelle forme partito ha mutato anche l’approccio rispetto alle nomine. Con l’adozione di un metodo spiccatamente americano: il presidente Usa Trump ha imposto nuovi dirigenti in tutti i settori, anche quelli più delicati come nel caso del Fbi. Credo che la stessa cosa stia prendendo piede anche in Italia. Non so quanto questo sia positivo, data l’assenza nel nostro Paese dei contrappesi che invece esistono nella democrazia americana”.

Si tratta insomma di nomine coerenti con il modo nuovo di interpretare la leadership politica…
“Mi pare conti molto la fiducia personale del leader nei confronti dell singolo dirigente politico. Ovviamente, specie per alcuni incarichi particolarmente delicati la scommessa è sulle competenze: in Cassa Depositi e prestiti è legittimo avere persone di fiducia, ma è fondamentale che posseggano grande cultura bancaria oltre che buon senso”.

Olivetti pensava al superamento dei partiti. e più di qualcuno suggerisce un’assonanza con alcuni temi del M5S. Che ne pensa?
“L’idea di Olivetti era quella di una democrazia rappresentativa con una sola Camera e con un forte fondamento nella comunità concreta. E quindi quanti cercano un contatto con la comunità in qualche modo evocano quel modello”.

Cosa ne pensa della democrazia diretta?
“Penso che la democrazia parlamentare rappresentativa ha dei limiti, ma finora non si è trovata una forma migliore. Quanto alla democrazia diretta ritengo che non sia possibile in società ampie come le nostre. D’altro canto l’interscambio sulla rete, non può certo sostituire la funzione del Parlamento dove le decisioni dovrebbero essere assunte nell’ambito di un confronto diretto”.

Questo nel mondo ideale. Ma il Parlamento che lei ha conosciuto era teatro di questo tipo di confronto?
“In effetti no. Sono stato parlamentare dal’58 al ’63. Ebbene il presidente della Camera Giovanni Leone spesso tuonava in aula contro una pratica assai diffusa. Diceva ‘questo non è più un Parlamento, ma un leggimento’ riferendosi all’abitudine dei deputati di leggere interventi preconfezionati e non frutto del dibattito. Ecco, ai parlamentari dovrebbe essere proibito persino di aiutarsi con le scalette”.