D’Alema non è solo. Bufera sull’ex premier per una mediazione milionaria sull’acquisto di mezzi da guerra da parte della Colombia

D’Alema che, nelle vesti di mediatore, ha messo in contatto Fincantieri e Leonardo con il governo colombiano.

C’è un’evidente affinità tra il potere e il brigare in mezzo alle armi. L’ultimo è Massimo D’Alema che, nelle vesti di mediatore, ha messo in contatto Fincantieri e Leonardo con il governo colombiano per l’acquisto di alcuni mezzi da guerra. Il bottino non è niente male: gli M346 dell’ex-Finmeccanica e le corvette e i sommergibili di ultima generazione di Fincantieri.

D’Alema che, nelle vesti di mediatore, ha messo in contatto Fincantieri e Leonardo con il governo colombiano

Il sito scassate.it ha raccontato per primo la vicenda, con l’ex presidente del Consiglio che si presentava, secondo il racconto degli emissari colombiani, come “interlocutore privilegiato”. Una trattativa che durerebbe da almeno 6 mesi e che D’Alema avrebbe voluto accelerare perché il cambio di vertici delle due aziende italiane avrebbe potuto compromettere il risultato.

“Noi stiamo lavorando perché siamo stupidi? – chiede D’Alema registrato nel corso di una riunione poche settimane fa – No. Perché siamo convinti che riceveremo tutti noi 80 milioni di euro. Questa è la posta in gioco. Non appena avremo questi contratti divideremo tutto”.

Fincantieri e Leonardo negano di avere mai dato un incarico di consulenza all’ex premier. D’Alema fa sapere che il governo e l’ambasciata erano informati di tutto. Comunque sia usare la propria credibilità politica per vendere è deplorevole, farlo con la Colombia (più che fragile nei diritti) è ancora peggio.

Inevitabili le reazioni politiche. Fratelli d’Italia sbraita presentando un’interrogazione parlamentare (inutile, a meno che non esista un ministero degli ex politici di governo) in cui se la prende con il Pd (che con D’Alema c’entra come i cavoli a merenda) accusato di “lottizzare perfino il Quirinale con la nomina di Francesco Saverio Garofani a Segretario del Consiglio Supremo della Difesa” e di tagliare “i bilanci delle nostre Forze Armate in nome di un demagogico e falso pacifismo ma nelle segrete stanze non ha alcuna remora a guadagnare con il commercio delle armi”.

Sostanzialmente i colleghi di partito di Giorgia Meloni lamentano un danno “al buon nome dell’Italia” per i protagonisti della vicenda e non per la natura della vicenda stessa. Del resto Meloni deve essersi ricordata che il “suo” Guido Crosetto (già sottosegretario all Difesa nel governo Berlusconi) è stato coordinatore nazionale di FdI, deputato fino al 2018 e poi presidente dell’Aiad, federazione che riunisce le aziende del comparto difesa, aerospazio e sicurezza.

Ora Crosetto è presidente della “Orizzonti Navali, una joint venture tra Fincantieri e Leonardo e specializzata in sistemi ad alta tecnologia per le navi militari e di gestione integrata dei sistemi d’arma. Per Giorgia Meloni, tanto per capirci, Crosetto era il candidato al Quirinale. Non male com trave nell’occhio.

Passa qualche ora e anche da Italia Viva fanno sapere di avere presentato un’interrogazione. Avete letto bene: il partito dell’ex Presidente del Consiglio e tutt’ora senatore Matteo Renzi, quello che da politico attiva monetizza la propria influenza politica con il principe Bin Salman nell’Arabia Saudita (leggi l’articolo) che fa a gara con la Colombia per mancanza di diritti (chiedere alla moglie del giornalista a Jamal Khashoggi fatto a pezzi dal regime saudita) e amore delle armi (chiedere ai civili ammazzati in Yemen).

Almeno l’ex ministro Minniti (che è finito comodamente seduto alla presidenza della fondazione Med-Or, di Leonardo) ha avuto il buon gusto di non darci lezioni di etica tra armi e politica. Una cosa è certa: la promozione più ambita per i politici di casa nostra ha sempre a che fare con armi e Stati poco democratici.