Damasco accetta la proposta russa. Arsenale chimico sotto il controllo Onu. Assad cede le armi, Obama non si fida

di Antonello Di Lella

Le armi chimiche siriane finiranno sotto il controllo internazionale. Ma il presidente siriano Bashar Assad ci tiene a sottolinearlo: “Il risultato è stato raggiunto solo grazie alla proposta della Russia”. Un messaggio dritto a Washington che nei giorni scorsi tramite il portavoce della Casa Bianca aveva rivendicato il proprio ruolo nella mediazione sottolineando che le minacce di un intervento armato erano servite. La Siria non ha paura e Assad lo ha fatto sapere rilasciando un’intervista all’emittente russa Rossiya-24. La proposta sovietica era arrivata a Damasco lunedì direttamente da Mosca. L’iter prevede prima il passaggio di consegne delle armi chimiche sotto il controllo internazionale per procedere poi alla distruzione. E proprio nella serata di ieri il governo del paese mediorientale ha fatto recapitare al segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon la lettera con cui dichiara formalmente la volontà di aderire alla convenzione internazionale che vieta il possesso e l’uso di un arsenale chimico. “Si tratta soltanto del primo passo per l’adesione della Siria alla convenzione”, ha fatto sapere il portavoce del Palazzo di Vetro, Farhan Haq. Dopo una presentazione di un rapporto a sostegno del piano da parte del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon dovrebbe esserci una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che miri ad evitare una risoluzione militare. Damasco dovrà mantenere i patti e aderire all’organizzazione per il divieto delle armi chimiche e svelare tutti i luoghi di produzione e di stoccaggio delle proprie armi finite nel mirino della comunità internazionale. Dati che a detta del presidente siriano Assad saranno forniti un mese dopo la firma della convenzione. “Si tratta del procedimento standard, e Damasco lo seguirà”, ha sottolineato Assad, “ma si tratta di un processo bilaterale che proseguirà soltanto se gli Usa fermeranno le proprie minacce di condurre un’azione militare”. Per completare il percorso, infine, la Siria dovrà lasciare libero accesso agli ispettori incaricati delle verifiche. Detto ciò, secondo la fonte del quotidiano russo Kommersant, l’arsenale siriano potrebbe essere smantellato da Usa e Russia nell’ambito del vecchio accordo sul disarmo, Nunn-Lugar, siglato nel 1991 e rinnovato nel giugno scorso, pur con qualche limitazione, da Putin e Obama. La tensione però resta altissima. Perché se da un lato Assad fa sapere di non temere gli Stati Uniti, dall’altra dalla Casa Bianca giungono messaggi tutt’altro che rassicuranti con l’opzione di un attacco militare in Siria che resta aperta nonostante la prove di mediazione. E nonostante il discorso di Obama che non sembra affatto aver convinto il proprio popolo sulla necessità di punire il regime di Assad responsabile “di atrocità e crimini contro l’umanità”. Il presidente americano ha escluso la possibilità di un nuovo Iraq o Afghanistan in caso di attacco, ma a credergli c’è solo il 47% degli elettori. Nemmeno il parlamento europeo esclude però un intervento militare a scopo “deterrente”, chiedendo inoltre di deferire la questione all’Assemblea generale nel caso in cui Russia e Cina continueranno a paralizzare il Consiglio di Sicurezza.
La strada principale da perseguire resta quella della mediazione. Continua intanto il dibattito sull’attacco chimico del 21 agosto scorso. Il presidente russo Vladimir Putin intervenendo sulle colonne del prestigioso New York Times ha ribadito che ormai è fuori discussione l’uso di gas chimico in Siria, ma che parimenti ci sono ragioni tali da ritenere che non sia stato utilizzato dall’esercito di Assad bensì dalle forze di opposizione per provocare un intervento militare. Non la pensa allo stesso modo il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius che ha confutato la tesi russa portata ormai avanti da tempo. Sono ore intense a Ginevra dove il segretario Usa, John Kerry, e il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, stanno definendo i dettagli del piano.
Mentre nella periferia di Damasco si continua a combattere.