Per la Casa Bianca l’accordo sui dazi con l’Ue è “storico” e “colossale”. E in effetti la resa dell’Ue non può che avere il sapore della vittoria per Donald Trump. Ma non di certo per Bruxelles e Roma. Eppure, nonostante un cedimento su tutti i fronti da parte dell’Ue, c’è chi ritiene positivo l’accordo trovato tra il presidente Usa e Ursula von der Leyen. In primis la Germania e l’Italia, proprio i Paesi più colpiti dai dazi. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, però ha ben poco da festeggiare, considerando gli effetti dei dazi al 15% imposti dagli Usa.
Dazi al 15%, le stime per l’Italia
Giusto per farsi un’idea, Confcommercio spiega che l’accordo commerciale, pur essendo un fattore di “certezza in tempi incerti”, ha un costo “rilevante”. Perché oltre ai dazi, ci sono anche gli impegni per acquisti in energia per 750 miliardi e investimenti aggiuntivi negli Usa per 600 miliardi, oltre che gli acquisti in armi. Insomma, le prime stime per l’Italia parlano di un danno per il nostro export “ricompreso nell’ordine di 8/10 miliardi di euro”, a cui aggiungere anche gli effetti della svalutazione del dollaro. Il presidente di Federpetroli, Michele Marsiglia, interpellato da LaPresse fa notare come i dazi al 15% siano solo “di facciata”, perché in realtà “tra energia e armi arriviamo a oltre il 30%, con acquisti imposti e non dettati dal libero scambio commerciale”.
Un altro scenario è quello tratteggiato dall’Ispi, che calcola l’impatto delle tariffe al 15% sul Pil di alcuni Paesi: l’effetto negativo sarebbe dello 0,3% per la Germania, dello 0,2% per l’Italia e dello 0,1% per la Francia. E a pesare è anche l’andamento del dollaro: dall’insediamento di Trump – spiega l’Istituto – ha perso il 13% del suo valore rispetto all’euro, costituendo una sorta di dazio aggiuntivo che costringe gli esportatori a “scegliere tra mantenere invariati i prezzi in dollari abbassando quelli in euro” oppure “rischiare di perdere competitività”. Vede meno nero Unimpresa, secondo cui l’impatto sull’export potrebbe essere inferiore rispetto alle stime iniziali grazie alle esenzioni totali o parziali su alcuni settori.
Secondo il centro studi di Unimpresa “il costo diretto stimato per le aziende si attesterebbe in un intervallo compreso tra 6,7 e 7,5 miliardi di euro” per l’Italia. I settori più esposti sono meccanica (27% dell’export verso gli Usa), chimico-farmaceutico (20%), moda (17%), agroalimentare (12%), trasporti (11%) e beni di lusso (9%). Sul fronte dell’occupazione, invece, si parla di “decine di migliaia” di posti a rischio.
Tra palco e realtà
Meloni, però, non sembra così preoccupata e giudica positivamente l’accordo. Tutto pur di evitare un’escalation commerciale. E soprattutto pur di non irritare Trump. Ora, comunque, “c’è ancora da battersi” e verificare le possibili esenzioni, per la presidente del Consiglio, soprattutto “su alcuni prodotti agricoli”. Mentre resta l’incertezza su elementi come gli investimenti e gli acquisti di gas, sottolinea Meloni. Inevitabile che l’opposizione parli di resa dell’Ue e metta in risalto come non ci sia stato un buon accordo, come ritiene la presidente del Consiglio.
La segretaria del Pd, Elly Schlein, accusa il governo italiano, insieme ad altri, di essere “totalmente subalterni a Trump”, indebolendo la posizione negoziale dell’Ue. Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, parla di condizioni che “si riveleranno disastrose per l’economia europea e quella italiana” e accusa Meloni di diventare “portabandiera dello slogan America First”. Matteo Renzi, leader di Italia Viva, parla di “resa incondizionata dell’Europa al sovranismo di Trump” e accusa il sovranismo di far “male all’Italia, fa male all’economia, fa male alla libertà. E sul medio periodo persino agli americani”.
In ballo c’è poi la partita dei sostegni alle imprese, rilanciati dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Per il momento il leader di Forza Italia non vuole parlare di manovra correttiva, così come i suoi colleghi di governo. Ma intanto si pensa a come intervenire per aiutare le imprese. E si considerano tutte le ipotesi, dalla revisione del Pnrr alla riprogrammazione dei fondi di coesione, passando per la modifica o la sospensione del Patto di stabilità. L’accordo sui dazi crea però problemi anche interni ai singoli partiti. Per esempio nella Lega, con Salvini che sembra soddisfatto dell’accordo e altri esponenti decisamente contrari. Ma non va meglio nel Pd, che critica – come fanno gli europarlamentari Dario Nardella e Stefano Bonaccini – von der Leyen, dimenticando però che è proprio il loro partito a sostenere la sua maggioranza in Ue.