Durigon manganello e bavaglio. Sigilli all’inchiesta di Fanpage sui 49 milioni spariti della lega. Il Tribunale di Roma ha ordinato l’oscuramento

Il provvedimento è stato fortemente criticato da tutte le forze politiche ad eccezione di Forza Italia e sovranisti.

Durigon manganello e bavaglio. Sigilli all’inchiesta di Fanpage sui 49 milioni spariti della lega. Il Tribunale di Roma ha ordinato l’oscuramento

Bavaglio a Fanpage. Il Tribunale di Roma ha ordinato il sequestro, con relativo oscuramento, dell’inchiesta del giornale (qui la pagina) sull’ex sottosegretario leghista all’economia Claudio Durigon e sui fondi della Lega. Una decisione fortemente contestata dai destinatari del provvedimento, dall’Ordine dei giornalisti e dalla Fnsi, in quanto ritenuta un attacco alla libertà di stampa, e che ha visto schierarsi dalla parte di Fanpage tutte le forze politiche ad eccezione del centrodestra.

IL CASO. “Il Tribunale di Roma vuole sequestrare e oscurare i contenuti dell’inchiesta di Fanpage.it su Claudio Durigon e sui fondi della Lega. Si tratta di un provvedimento che rimanda a pratiche mai utilizzate in Italia che limita la libertà di stampa e che ci riguarda tutti. Per questo non possiamo stare in silenzio. Come giornalisti, come lettori e come cittadini”, hanno denunciato ieri dalla testata online, comunicando di aver ricevuto nella redazione napoletana del giornale la notifica del sequestro.

A dicembre erano emerse le prime notizie (leggi l’articolo) su uno degli arrestati nell’inchiesta antimafia denominata Dirty Glass, che aveva riferito agli inquirenti di rapporti con il leghista Durigon e di quest’ultimo con il principale indagato, l’imprenditore pontino Luciano Iannotta, accusato di aver messo su un sistema fatto di imprenditori senza scrupoli, faccendieri, criminali comuni e anche pubblici ufficiali, impegnati in affari sporchi tra Roma e Latina, la città dell’ex sottosegretario.

Un’organizzazione che sarebbe stata dedita a compiere reati reati fiscali, tributari, fallimentari, estorsioni aggravate dal metodo mafioso, intestazioni fittizie di beni, falso, corruzione, riciclaggio, accessi abusivo a sistemi informatici, rivelazioni di segreto d’ufficio, favoreggiamento reale, turbativa d’asta, sequestro di persona e detenzione e porto di armi da fuoco. Fanpage, qualche mese dopo, partendo anche da quegli elementi, ha portato avanti un’inchiesta su Durigon e sui fondi della stessa Lega.

L’ex sottosegretario, in una conversazione ripresa con una telecamera nascosta e relativa alle indagini sui 49 milioni di euro oggetto della truffa compiuta dal Carroccio ai danni dello Stato spariti (leggi l’articolo), aveva detto circa il generale impegnato in quegli accertamenti: “L’abbiamo messo noi”. Esploso il caso, il partito di Matteo Salvini aveva difeso il padre di Quota 100 e così aveva fatto in aula il premier Mario Draghi. Difficile scaricare Durigon su vicende in cui venivano gettate ombre pesanti sulla stessa Lega.

Ad agosto, però, quando intervenendo a Latina insieme al Capitano sui referendum sulla giustizia e sulle elezioni che si terranno a ottobre nel capoluogo pontino, l’ex sottosegretario ha detto che una priorità per un possibile futuro sindaco del centrodestra sarebbe stata quella di togliere dal parco pubblico i nomi dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e sostituirli con quello di Arnaldo Mussolini, il deputato è diventato sacrificabile (leggi l’articolo).

C’è stata grande indignazione per quelle affermazioni e Salvini ha accettato di farlo dimettere da sottosegretario. Ieri il sequestro dell’inchiesta di Fanpage. “Avevamo mostrato un video – ha spiegato la redazione – in cui l’onorevole Durigon diceva a un suo interlocutore che non bisognava preoccuparsi dell’inchiesta della Procura di Genova sui 49 milioni di Euro che la Lega avrebbe sottratto allo Stato italiano perché il generale della Guardia di Finanza “l’abbiamo messo noi”.

Il sequestro è stato giustificato col fatto che il comandante della Guardia di finanza tirato in ballo da Durigon, Giuseppe Zafarana, si è ritenuto indebitamente tirato in ballo dal parlamentare e dunque come un provvedimento a tutela della “reputazione professionale e personale” dell’ufficiale, anche “in considerazione delle non chiare e verosimilmente illecite circostanze nelle quali è captata la conversazione dell’onorevole Durigon”.

A criticare il sequestro sono però stati subito anche l’Ordine dei giornalisti, la Fnsi e il Sindacato unitario dei giornalisti campani, definendolo “un atto abnorme, gravissimo e inaccettabile che lede pesantemente il diritto di cronaca, garantito dalla Costituzione”. Mentre le destre sono rimaste in silenzio, come ampiamente prevedibile, a censurare quello che viene ritenuto un pericoloso attacco alla libertà di stampa sono state tutte le altre forze politiche, dal Movimento 5 stelle al Pd, Italia Viva compresa.

“Non piace questo clima, anzi fa paura”, ha detto il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra, mentre il renziano Michele Anzaldi ha chiesto l’intervento “dei ministri competenti”. “Il giornalismo d’inchiesta – ha sottolineato il senatore pentastellato Primo Di Nicola – è un patrimonio per tutti i cittadini e il lavoro dei cronisti va protetto”.