Chi ha tirato fuori lo Champagne per festeggiare la caduta di Luigi Di Maio aspetti a stappare. In un Paese dove le carriere politiche durano decenni, un leader di appena 33 anni, con capacità e un non indifferente seguito personale può rallentare a una curva, ma chissà poi quanta altra strada può fare. Luigi (come lo chiamano affettuosamente molti lettori di questo giornale che ieri hanno voluto testimoniare un legame quasi familiare) ha fatto il passo indietro da capo politico dei 5 Stelle con un discorso che contiene i motivi per cui è stato centrale nel Movimento e adesso, in vista di una fase nuova, non poteva che lasciare.
La ragione della sua leadership sta nella difesa a oltranza della comunità e dei valori nati attorno a Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Di errori ne sono stati fatti, si è dato spazio a chi ha usato il Movimento come un taxi per sistemarsi o per mire di potere, ma quando si è sbagliato è stato in buona fede. La ragione delle dimissioni sta invece nel nuovo soggetto che nascerà dagli Stati generali di marzo, quando non si definirà solo una più efficace struttura a livello centrale e dei territori, ma si deciderà cos’altro diventare: restare una forza politica post ideologica, che fa alleanze temporanee indistintamente con la Destra o la Sinistra, ma schiacciata così tra i due poli perde regolarmente le elezioni e apparecchia Palazzo Chigi per i sovranisti, oppure diventare la colonna di un’area riformatrice e progressista da costruire col Pd, i suoi cespugli e le reti civiche e ambientaliste.
Se prevarrà la prima opzione, Di Maio che è stato il garante dell’accordo con la Lega nel Governo gialloverde resterà una risorsa di primo livello, con ruoli ministeriali o persino il ritorno alla guida dei 5S. Se invece prevarrà l’opzione due, servirà un’altra sensibilità politica, e i leader ideali potrebbero essere Roberto Fico, il ministro Stefano Patuanelli (che in una recente intervista a Repubblica si è già esposto in tal senso) o Roberta Lombardi, in rapporti buoni con Nicola Zingaretti (ci convive alla Regione Lazio) e ottimi con Grillo, il garante silenzioso (e chi tace acconsente) del Movimento e della maggioranza giallorossa su cui si reggono Giuseppe Conte e l’ultimo baluardo contro Matteo Salvini.