Dopo aver scritto per cinque anni che il peccato più grave della Raggi è stato non avere un’idea di futuro su Roma, ieri per non smentirsi giornaloni e giornalini hanno nascosto come meglio potevano il frutto del risanamento avviato sui conti della città. Tre tappe che partono dalla capacità di utilizzare subito i fondi del Recovery e arrivano al Giubileo del 2025 e alla candidatura per l’Expo 2030.
È bastato, insomma, interrompere per appena qualche anno le storiche ruberie dei pretoriani di destra e sinistra, e finalmente il Campidoglio può tornare a pensare in grande, mettendo in campo progetti seri e non avventurose rincorse alle Olimpiadi senza un soldo in cassa, la macchina amministrativa ingolfata e un livello di corruzione che avrebbe affondato per chissà quanti altri decenni la Capitale.
L’occasione per condividere questo percorso è stato un grande evento con manager, imprese e un contributo importante di Di Maio, da cui è emerso che oggi Roma può diventare il prototipo della smart city, cioè quel luogo dove inclusione sociale, mobilità sostenibile e transizione ecologica diventano realtà.
Ma – si dirà – la pulizia lascia a desiderare, nelle strade si aprono voragini e sui trasporti c’è ancora da fare. Vero, e però Roma non si è fatta in un giorno, e se si può riprendere a programmare è solo perché su ciascuno di questi problemi più visibili si è intervenuto gettando le basi per risolverli strutturalmente, cominciando dal ridurre quel debito storico che all’insediamento di Virginia Raggi superava i 12 miliardi, e che da solo tagliava le gambe a ogni velleità di ripresa.
Sono state costituite, dunque, le condizioni per la rinascita della città, che se la sindaca avrà modo di spiegare non lasceranno chance ai venditori di fumo delle destre, dove infatti la Meloni sa di non avere un candidato capace di vincere al ballottaggio e per salvare la faccia a Fratelli d’Italia vuole scaricare la sconfitta su un civico. Un discorso che vale anche a sinistra, dove però la tentazione di riconquistare la mangiatoia di una vita è troppo forte. E Calenda e Gualtieri non ci possono rinunciare. A costo di fare i kamikaze.