Finisce così, con la dedica dell’allievo Antonio Tajani al maestro Silvio Berlusconi. Sì proprio lui, il ministro degli Esteri che si arrampica sugli specchi per difendere l’indifendibile Netanyahu, inseguito da un mandato di cattura internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati dal suo governo a Gaza, ma non ha difficoltà a trovare le parole per lodare “una riforma della giustizia a servizio dei cittadini” come “obiettivo prefissato” proprio dal fondatore di Forza Italia.
La riforma in questione è quella della separazione delle carriere dei magistrati approvata ieri in seconda lettura al Senato (per il via libera definitivo ne serviranno altre due e un quasi scontato referendum costituzionale). Che, malauguratamente per Tajani, non ha nulla a che vedere con la garanzia di un “processo equo e uguale per tutti” nel quale “si esalta il ruolo del giudice giudicante”. Né con la salvaguardia della terzietà e dell’indipendenza dei giudici rispetto ai pm (anche alla luce del numero esiguo di passaggi da una funzione all’altra) di cui il centrodestra si riempie la bocca da anni.
Si tratta, al contrario, di una riforma che persegue ben altro fine: sottoporre il pm al controllo del governo; demandare al Parlamento la definizione dei reati che dovranno essere perseguiti dalle procure in via prioritaria; ergo, il superamento de facto dell’obbligatorietà dell’azione penale. La riforma agognata da Berlusconi che, incidentalmente, coincideva con quella sognata dal piduista Licio Gelli. Quando si dice il caso.