Ieri è bastato mezzo pomeriggio per vedere ciò che a Palazzo Chigi si tenta di nascondere da due anni: il governo Meloni tiene finché tutti fingono di avere la stessa idea di politica estera. Appena l’inquadratura si allarga oltre i monologhi della premier, il mosaico si incrina. E le tessere tornano a essere quelle di tre partiti che viaggiano per conto proprio. Matteo Salvini ha rivendicato lo stop italiano alle nuove forniture di armi a Kiev. Ha parlato di «corruzione» e di soldi italiani che rischierebbero di finire «nelle tasche sbagliate». La sua è una frase che arriva come un’accusa vera e propria, perché sposta l’asse dell’argomento: non più efficacia militare, ma legittimità morale.
Una linea che alla Lega piace, perché permette di saldare posizionamento geopolitico e campagna elettorale permanente. A quel punto Guido Crosetto ha sbottato: definire «corrotta» l’intera Ucraina è un modo per indebolire l’Italia nelle alleanze che contano. Il ministro della Difesa ha provato a ricondurre tutto all’ordine, come se si trattasse dell’ennesimo incidente dialettico. L’effetto è stato l’opposto: il litigio a cielo aperto ha mostrato una frattura che non dipende più dalla contingenza. La premier è rimasta nella postura che conosce meglio: negare l’esistenza del problema. Meloni parla di “compattezza” mentre i suoi vicepresidenti fanno campagna su visioni incompatibili. In pubblico il governo giura fedeltà all’Occidente, nelle dichiarazioni dei partiti riemerge un’idea diversa del ruolo italiano nel mondo.
Due linguaggi che convivono solo se nessuno guarda troppo da vicino. La verità è che questa maggioranza è rimasta unita solo finché la politica estera era una scenografia da evocare nei comizi. Appena diventa una materia concreta – armi, impegni con Kiev, rapporti con gli alleati – la vernice cade. E ciò che resta è un esecutivo che parla con tre voci differenti, ognuna impegnata a misurare il consenso invece della credibilità internazionale del Paese. L’episodio di ieri non è un incidente: è un disvelamento. L’Italia è guidata da un governo che sulla scena globale appare intero solo quando nessuno dei protagonisti fiata. Quando lo fanno, l’alleanza si rivela per quello che è: un equilibrio provvisorio tenuto insieme dalla necessità del potere, non da una visione.