Elezioni da rottamazione, ora inizia il processo a Renzi. E la sinistra Pd lancia il modello Merola

La richiesta di dimissioni non c'è stata. Perché la vittoria di Sala a Milano ha in parte salvato Renzi dall’assalto. Ma dopo le elezioni parte il processo

La richiesta ufficiale di dimissioni non è partita ancora. Perché la vittoria di Giuseppe Sala a Milano ha in parte salvato Matteo Renzi dall’assalto. Ma l’ex capogruppo alla Camera del Pd, Roberto Speranza, ha usato una parafrasi per chiedere il passo indietro da segretario. “Il doppio incarico di Renzi premier e segretario del Pd non funziona. Non fa bene al partito e non lo aiuta”. Manca la parola dimissioni, ma il senso è quello. E non è esclusa che l’offensiva più dura possa arrivare nella direzione nazionale convocata per venerdì 24 giugno. Il deputato bersaniano, Davide Zoggia, non ha avuto alcuna remora a dare la stoccata. E lui sì ha chiesto le dimissioni: “È successo uno tsunami, una mezza rivoluzione. Bisogna subito aprire una discussione complessiva. Renzi dovrebbe concentrarsi sul governo lasciando la segreteria del Pd. Dovremmo rimettere in moto, tutti insieme, la discussione sul partito”. La minoranza aveva elaborato una strategia: l’invocazione del passo indietro sarebbe arrivata solo con la caduta di Milano. “Ma le proporzioni delle sconfitte di Roma e Torino non possono passare inosservate”, ragiona in privato un altro parlamentare bersaniano. Quindi ci potrebbe essere un cambio in corsa nel rapporto con il leader. “È un risultato oggettivamente non buono per il Pd, che dà un segnale politico chiaro al Governo, a Renzi e all’azione che il Pd sta portando avanti”, ha evidenziato Speranza commentando il verdetto del secondo turno.

TRATTATIVA
Per i dem è iniziata una settimana che si annuncia lunghissima. Già da tempo Renzi deve scegliere la linea: avviare una trattativa per una segreteria con maggiore autonomia e collegiale, con posti pesanti da assegnare ai volti nuovi della sinistra del partito, oppure tirare dritto e puntare tutto sui suoi fedelissimi. In pubblico il presidente del Consiglio ha parlato di “lanciafiamme” da usare per rilanciare l’azione del Pd. In privato c’è però una disponibilità diversa con il vicesegretario, Lorenzo Guerini, incaricato di sondare il terreno con la minoranza per comprendere i possibili punti di incontro. “La mossa decisiva spetta al segretario”, è la posizione prevalente nella corrente che fa riferimento a Speranza. Ma non è solo questione di qualche posto di comando. “Serve una correzione seria della rotta che per me significa una svolta culturale, politica, dell’identità di un centrosinistra di governo”, ha sottolineato Gianni Cuperlo.

STILE MEROLA
Nella disastrosa notte elettorale, ha tenuto almeno la roccaforte di Bologna, dove è stato rieletto Virginio Merola, il sindaco ulivista. Tutt’altro che un renziano. E infatti ha proposta un’analisi dura: “Il Pd ha più difficoltà tra i ceti popolari ed è un segnale che va colto con urgenza”. Quindi ha rilanciato la propria posizione: “Non dobbiamo inseguire una destra moderata o fare pateracchi, ma dedicarci al popolo della sinistra che ha bisogno di sostegno al reddito e di maggiori certezze”. Parole nette, tanto da diventare un modello per la sinistra dem. Ma nell’analisi del voto, fatta subito dopo la chiusura delle urne, c’è anche chi ha fatto notare un altro aspetto: “A Bologna il Pd ha tenuto perché la sfidante al ballottaggio era una leghista”. Come dire: se ci fosse stato il candidato del Movimento 5 Stelle, le amministrative sarebbero finite anche peggio.