Eurogruppo della discordia. Si tratta, ma l’intesa è lontana. Conte tiene il punto sui Coronabond. I tedeschi non cedono. Gentiloni e Breton tentano l’ultima mediazione

La posizione del Governo italiano è nota da settimane e alla vigilia dell’Eurogruppo che si terrà oggi il premier Giuseppe Conte ha ribadito chiaramente la linea da tenere: nessuna condizione alle risorse necessarie per affrontare lo shock economico dovuto all’emergenza coronavirus. Tradotto: un no forte e chiaro al ricorso al Fondo salva Stati. “No al Mes, sì agli strumenti di debito disponibili per disporre subito misure fiscali ed agevolazioni per famiglie e imprese”, a ribadirlo in una nota il sottosegretario al ministero dell’Economia, il pentastellato Alessio Villarosa, in linea con la posizione ferma di tutto il Movimento 5 Stelle, secondo cui l’eurozona può rilanciarsi soltanto tramite l’emissione di bond comuni, passando per un nuovo ruolo della Bce e un European Ricovery and Reinvestment Plan, un piano epocale che richiede un supporto finanziario condiviso e adeguato: “L’Europa risponda con misure comparabili con quelle realizzate altrove, come negli Stati Uniti dove la Federal Reserve ha garantito acquisti illimitati per sostenere il poderoso piano da 2000 miliardi di dollari del governo”.

D’accordo sugli eurobond e accesso al Mes senza “alcuna condizionalità” il Partito socialista europeo, come annunciato ieri dal dem Emanuele Fiano. In realtà la trattativa non è né semplice né di facile soluzione, come ammesso dallo stesso Paolo Gentiloni che, a poche ore dalla riunione dei ministri economici dalla quale si capirà se esiste una linea comune per reagire alla crisi innescata dalla pandemia, ha affermato che “nell’Eurozona la discussione su quali siano gli strumenti adeguati ad aiutare gli Stati membri va avanti, ma è ancora un pochino divisiva. Uso un eufemismo”. Il commissario europeo all’Economia ha anche chiarito la sua posizione sul Mes, che è il vero nodo di tutta la questione: “Nessuno sta proponendo la mutualizzazione del debito precedente ma serve una comune responsabilità per quello che riguarda il finanziamento di nuovi programmi e missioni. Abbiamo bisogno di una discussione che vada verso il futuro, non il passato. Il Mes così come è strutturato oggi non è ciò di cui abbiamo bisogno ora: un piano Marshall realizzato in Europa e lanciato ora. La ripresa dell’economia dell’Ue deve essere affrontata nelle prossime settimane e mesi, non nei prossimi anni”.

Coerentemente con quanto affermato è stato proprio lo stesso Gentiloni, due giorni fa, a lanciare un ultimo affondo contro la politica rigorista dei paesi del nord insieme al francese Thierry Breton, suo collega commissario Ue con delega al Mercato interno, proponendo l’istituzione di un “Fondo europeo espressamente concepito per emettere obbligazioni a lungo termine”, un ruolo significativo per la Banca Europea degli investimenti e un ricorso al Mes subordinato alla revisione dei criteri di condizionalità per l’erogazione di prestiti e finanziamenti. Del resto già nei giorni scorsi la Francia ha provato a discutere di un documento comune con i tedeschi in cui si parlava sì di Mes ma a “condizionalità light”.

Un po’ troppo light per Frau Merkel, che evidentemente ama le cose “strong”: Mes condizionato a severi pacchetti di rigore e austerità. Chiarissimo il suo ministro delle Finanze Olaf Scholz: “Sono tre gli strumenti che si possono utilizzare subito in questa crisi: la Bei, il Mes, col programma di crediti veloci agli Stati, e il programma di cassa integrazione europea”. Niente riferimenti, dunque, a strumenti di debito comune, gli eurobond richiesti da Italia e altri otto stati membri: una condivisione degli oneri che Germania, Austria e Olanda non hanno intenzione di concedere.