Fallito il blitz sulle Commissioni, altro flop dei grillini filosovranisti. La guerriglia parlamentare sulle presidenze è un fiasco: ha solo certificato l’inconsistenza dei dissidenti

L’altro ieri c’è stata una verifica che poteva costituire una insidia per la maggioranza ed è stata superata. Si trattava del voto sullo scostamento dal Bilancio al Senato in cui i giallorossi hanno ottenuto 170 voti contro i 160 necessari. Conte aveva appena finito di rallegrarsene che nella notte successiva è scoppiato un finimondo sul rinnovo dei presidenti delle 28 commissioni permanenti alla Camera e al Senato. La lettura che ne dà il centrodestra e relativa stampa al seguito è sbagliata perché il Governo ne esce indenne, e anzi rafforzato. Al Senato viene riconfermato un leghista, Vallardi, alla commissione Agricoltura e bocciato clamorosamente Pietro Grasso (LeU) a favore del leghista Ostellari in quella Giustizia, provocando le ire del ministro Speranza che corrucciato abbandona il consiglio dei ministri. In sincrono alla Camera c’è il bis in commissione Giustizia, qui viene eletto, con il voto del centro-destra Catello Vitiello (Iv) – subito dimessosi – al posto di Mario Perantoni (M5S) e alla commissione Finanze viene eletto Marattin (Iv) dopo la sostituzione di dieci grillini su quindici. Poi, con un nuovo voto, Perantoni viene finalmente eletto. Tuttavia, dopo il caos che c’è stato sulle nomine, i non allineati nel M5S hanno avviato la solita raccolta firme per dimissionare il direttivo alla Camera e cioè Crippa (capogruppo) e Riccardi (vice). Fonti di agenzia attribuiscono l’iniziativa a Mattia Fantinati e Federica Dieni, supportati dai “sovranisti” Raduzzi, Donno ed altri che probabilmente hanno però un altro obiettivo e cioè il capo politico Vito Crimi. La lettura strumentale che viene data di questi fatti e che dietro tutto questo ci sia Luigi Di Maio e magari Davide Casaleggio per indebolire Conte, ma di questo non c’è la minima prova, anzi l’attuale ministro degli Esteri ha tutto l’interesse che il premier sia tutelato e la maggioranza che lo sorregge sia forte e coesa.  Ma torniamo ai fatti. Ammesso che i “sovranisti” Fantinati e Dieni volessero mettere in difficoltà il governo c’è da dire che, non solo non ci sono riusciti, ma hanno fatto un vero flop. Al Senato infatti la vittima eccellente è Grasso che è stato impallinato con il voto di Giarrusso che non è più grillino mentre alla Camera sono stati eletti tutti i candidati indicati dalla maggioranza. Quindi la supposta rivolta è completamente fallita. Qualora ci fosse ancora un’anima parlamentare “verde” nel M5S, nostalgica dei tempi andati e del rapporto con la Lega essa non conta proprio più nulla non avendo modificato per niente i piani della maggioranza giallorossa. Dunque tutto il discorso su un indebolimento di Conte è da ritenersi un artefatto del pensiero o di una interpretazione di convenienza degli eventi. L’iniziativa della raccolta firme di Fantinati – Dieni è più interpretabile come un tentativo di indebolire i vertici parlamentari del Movimento per ambizioni personali che, invece, come il frutto di un attacco sincronizzato dei sovranisti sopravvissuti. Pur nella dinamica democratica queste iniziative generano solo confusione in un momento che dovrebbe invece essere solo di unità. Naturalmente, come prevedibile, i “giornaloni” si sono tuffati a capofitto in queste vicende dipingendo la centratura del premier Conte come un risultato raggiunto, ma appunto, l’analisi obiettiva dei fatti non solo dimostra che così non è, ma che è invece proprio l’esatto contrario. Conte esce rafforzato dalla “due giorni”: mette nel paniere lo scostamento dal Bilancio al Senato con 10 voti in più di quelli necessari ed elegge alla Camera, teatro del blitz filosovranista, tutti i candidati della maggioranza alla presidenza delle Commissioni.