Femminicidio, le dimenticanze del Governo. Dopo quattro anni il Piano antiviolenza è ancora al palo. E i centri antiviolenza rischiano di chiudere

Femminicidio, le dimenticanze del Governo. Dopo quattro anni il Piano antiviolenza è ancora al palo. E i centri antiviolenza rischiano di chiudere

C’era stato un sussulto, dopo le polemiche dei centri antiviolenza. Polemiche che avevano “spinto” il sottosegretario Maria Elena Boschi, cui spetta la delega alle Pari Opportunità, a riprendere in mano il Piano Antiviolenza. Fondamentale per stabilire linee guida e modalità di finanziamento per i centri antiviolenza e la lotta alla violenza di genere. E invece il sussulto altro non è stato che l’ennesima promessa andata miseramente in frantumi. Era marzo quando La Notizia scriveva che, nonostante clamorosi tagli, il dipartimento aveva convocato le varie associazioni di genere per redigere il testo del Piano, con l’obiettivo di giungere a qualcosa di concreto entro luglio. Siamo arrivati al mese indicato, con una scia tragica di sangue. Cos’è cambiato da allora? “Nulla”, ci risponde secca la dottoressa Titti Carrano, presidente di una delle associazioni più impegnate nell’ambito, D.i.Re (Donne in rete contro la violenza). Certo, “ci sono stati incontri e confronti, ma al momento non c’è nulla di concreto”.

Ennesima promessa andata in fumo, dunque, con la grave responsabilità dello stesso dipartimento, che per inciso fa riferimento direttamente a Palazzo Chigi. “Il punto – ci spiega ancora la Carrano – è che innanzitutto ci vuole una volontà politica di intervenire concretamente per contrastare la violenza contro le donne”. Che a quanto pare manca. Anche perché parliamo di un Piano (fondamentale perché dovrebbe contenere azioni concrete e tempi di realizzazione precisi e ovviamente relativi finanziamenti) previsto da una legge addirittura del 2013. Insomma, a distanza di quattro anni ben poco è stato fatto. E quel che è stato realizzato, lo si è fatto  con clamorosi ritardi e tempi lunghi.

La relazione – Non è un caso che, come denunciato dalla Corte dei Conti l’anno scorso, i fondi relativi alle annualità 2013 e 2014 sono in gran parte rimasti nel cassetto. Un esempio? Il Governo aveva stanziato, tramite la stessa legge del 2013 e la successiva Stabilità, ben 40 milioni che sarebbero dovuti servire per progetti specifici del Piano Antiviolenza (29 milioni circa), per progetti regionali (13 milioni) e, infine, per interventi diretti della Presidenza del Consiglio (altri 7). Di questi, denunciavano allora i magistrati contabili e come sottolineato al tempo dal nostro giornale, sono stati spesi solo seimila euro. Lo 0,01%. Insomma, un disastro.

La nota positiva, ma intanto i centri chiudono – C’è da dire che per il biennio 2015-2016 c’è stato un passo in avanti: nonostante anche qui un paradossale ritardo, poco tempo fa è stata siglata una nuova intesa Stato-Regioni, “un’intesa che in teoria – ci spiega ancora la dottoressa Carrano – è buona perché pone rimedio a tutte le disfunzioni che ci sono state nelle annualità precedenti”. Ora, però, bisogna monitorare come e quando verranno assegnati i fondi. Per ora, come ci confermano ancora dalle associazioni, “il dipartimento ha comunicato di aver già erogato alle Regioni i fondi, adesso bisognerà vederne l’applicazione”.

La nota dolente però resta. Perché intanto i centri antiviolenza stanno piano piano chiudendo per mancanza di fondi. Sono decine le associazioni in difficoltà dopo il taglio sociale voluto dal governo Gentiloni lo scorso marzo (qualcosa come 211 milioni). Eppure la legge del 2013 sul femminicidio aveva previsto l’erogazione di 10 milioni all’anno per i centri antiviolenza. Ma si sa: teoria e prassi non sempre vanno d’accordo. Soprattutto quando manca la volontà politica.

Tw: @CarmineGazzanni