Archiviata la pace in Medio Oriente e il rilascio degli ostaggi israeliani, Donald Trump torna a concentrarsi sulla guerra in Ucraina e sulle – apparentemente esigue – speranze che questa possa arrivare rapidamente a una conclusione. Che si tratti di una missione a dir poco difficile lo ha capito lo stesso tycoon che, dopo le roboanti e trionfalistiche dichiarazioni degli ultimi mesi, è tornato a raccontare che “la guerra tra Ucraina e Russia non sarebbe mai accaduta se fossi stato presidente” e che pensava “sarebbe stato semplice risolverla”.
Peccato che questa speranza, complice anche mosse a dir poco discutibili da lui intraprese, come quella di tendere la mano al presidente russo Vladimir Putin salvo poi fare marcia indietro, sia stata tradita proprio dallo zar, per il quale – come ripete ormai da settimane – prova “forte delusione”. Davanti a questo stallo diplomatico, e con le truppe di Kiev e Mosca che continuano a darsele di santa ragione, Trump è tornato a mostrare i muscoli con Putin, minacciandolo di fornire missili da crociera Tomahawk se il presidente della Federazione Russa “non metterà fine all’invasione” dell’ex repubblica sovietica.
“Potrei parlargliene. Potrei dirgli: guarda, se questa guerra non finisce, fornirò loro dei Tomahawk”, ha raccontato il leader della Casa Bianca, sottolineando come questi micidiali missili rappresentino un rischio per la Russia: “Vogliono che i Tomahawk vengano lanciati nella loro direzione? Non credo”.
Il caso dei Tomahawk
Proprio la fornitura di questo sistema d’arma, capace di colpire gran parte del territorio russo, resta al centro del dibattito internazionale. Come annunciato nei giorni scorsi, Trump, prima di dare il suo “via libera” alla fornitura di Tomahawk, intende capire che uso ne farebbe l’esercito ucraino. Si tratta di una posizione comprensibile, perché la Casa Bianca teme che utilizzare i Tomahawk con eccessiva disinvoltura potrebbe condurre alla tanto temuta escalation del conflitto.
Lo sa bene il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che, parlando alla rete Fox News, ha subito preso la palla al balzo per rassicurarlo sul fatto che l’esercito ucraino utilizzerebbe i missili americani a lungo raggio “solo contro obiettivi militari” russi e non contro i civili.
“Nonostante tutto il nostro dolore per la perdita di soldati, famiglie e bambini, non abbiamo mai colpito civili, e questa è la grande differenza tra l’Ucraina e la Russia”, ha aggiunto il leader di Kiev. Parole rassicuranti che, però, non convincono il Cremlino. Dmitry Medvedev, ex presidente russo e attuale vice segretario del Consiglio di sicurezza nazionale, è tornato a minacciare l’apocalisse nucleare, sostenendo che l’eventuale “fornitura di missili americani Tomahawk all’Ucraina potrebbe finire male per tutti, e prima di tutto per lo stesso Trump”.
“È stato detto cento volte, in modo comprensibile anche per il tizio a stelle e strisce, che distinguere l’assetto nucleare dei Tomahawk da quello convenzionale in volo è impossibile”, ha insistito Medvedev, ignorando però che l’Ucraina non dispone di armi nucleari e che gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di fornirgliele.
Stallo diplomatico
Davanti a questo botta e risposta, resta lo stallo diplomatico che impedisce perfino l’avvio di una trattativa di pace. A ribadirlo è il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha fatto notare che “gli americani sono ben consapevoli della pausa che si è verificata (nei negoziati, ndr)”, ma che, almeno per il momento – e malgrado l’apertura di Trump a una nuova conversazione telefonica con Putin – “tale possibilità è remota”.
In tutto questo, come va ripetendo Mosca, che parla di pace ma poi non dà mai seguito a tali presupposti, il presidente bielorusso e alleato di Putin, Alexander Lukashenko, in un’intervista è tornato a scaricare le responsabilità della mancata pace su Volodymyr Zelensky. A suo dire, infatti, “l’Ucraina potrebbe cessare di esistere come Stato” se il leader di Kiev non si siederà al tavolo delle trattative “con urgenza”.
Parole che il presidente ucraino non ha nemmeno voluto commentare, preferendo chiedere nuovamente aiuto agli alleati della Nato: “Prima dell’inverno, Putin spera di usare gli attacchi contro le infrastrutture energetiche per spezzare la nostra resistenza. Non possiamo permetterlo. Pertanto, vi esorto a far sentire la vostra voce nei vostri parlamenti e governi per il rafforzamento della difesa aerea e missilistica, di cui abbiamo bisogno”.
Un appello fatto proprio anche dal segretario generale della Nato, Mark Rutte, che ha ricordato come Zelensky abbia ragione: “La Russia può colpire con i missili le città europee in pochi minuti. Resta profondamente pericolosa, per cui è importante prepararsi”.