Finiguerra: “Dopo Ischia vanno rivisti i poteri e il ruolo dei sindaci”

Parla Domenico Finiguerra, l’ex sindaco di Cassinetta di Lugagnano, esperto di gestione del territorio: "Servono più vincoli da Roma".

Domenico Finiguerra è stato uno dei primi sindaci in Italia ad avere adottato un reale piano di “zero consumo di suolo”. Quando in Italia sembrava ancora un miraggio a Cassinetta di Lugagnano ha deciso di non costruire “un solo metro quadrato in più” e recuperare solo l’esistente. Cassinetta di Lugagnano è stata insignita del titolo di Comune Virtuoso per la gestione del territorio ed è entrata in ReCoSol, la Rete dei Comuni Solidali.

Finiguerra, che sensazioni ha dopo l’ennesima tragedia a Ischia?
“A Ischia si è ripetuto l’ennesimo episodio per il quale io pubblico e ripubblico un vecchio pezzo che ho scritto anni fa dopo Genova: la sensazione è quella delle solite lacrime di coccodrillo che oggi si stanno versando da parte di tutti, politici e commentatori, che in qualche modo poi vengono subito asciugate finite i funerali. Il consumo di suolo e il cemento sono sempre le concause. Oggi sentivo che spendiamo 3 miliardi di euro per i danni per dissesto idrogeologico, se li spendessimo per la cura probabilmente non ci sarebbero morti. È un piangere sul latte versato. Non dimentichiamoci che a Ischia manca piano regolatore e quindi c’è una mancanza cronica di programmazione e di una cultura di rispetto della terra. L’acqua, come dicono in Sardegna, ricorda e torna dove è già andata in passato. Mi prende un grosso scoramento. Se ci fosse una presa di coscienza vera vedremmo calendarizzata subito una legge per lo stop a consumo di suolo. Invece tra poco torneranno i rendering delle colate di cemento”.

Il ministro Pichetto Fratin dice che bisognerebbe arrestare il sindaco…
“Io credo che i sindaci e i consigli Comunali siano il primo anello e l’ultimo. Ciò che accade su un territorio comunale è frutto di posizione politica del consiglio comunale, salvo le grandi opere con diretto intervento del governo. Manutenzione cura e pianificazione urbanistica sono roba loro. Ma allo stesso tempo sono l’ultimo perché i sindaci e i consigli comunali applicano leggi della politica centrale e della regione. Il fatto che vi sia una carenza di legislazione vincolante che obblighi l’agire dei sindaci, l’ultimo anello della catena che deve eseguire le linee di intervento a livello nazionale, li mette nella condizione di dover subire le pressioni del mercato. Il tema è molto complesso: noi abbiamo sentito amministratori locali che si nascondevano dietro a mille difficoltà. Ad esempio la mancanza di soldi: il comune non ha soldi per la distribuzione delle risorse pubbliche che non premiano i comuni che tutelano il territorio. Oppure la mancanza di una normativa restrittiva che è un po’ il senso della nostra legge, con moratoria a non consumare suolo ma a recuperare ciò che è esistente. Una grande opera pubblica nazionale è la messa in sicurezza. Noi abbiamo adottato più di 15 anni fa politica stop al consumo di suolo, in assenza di normative regionali e nazionali. Poi sulle responsabilità che il sindaco di Ischia può avere avuto credo che siano tutte connesse a qualcosa che si chiama condono. Se n’era cominciato a parlare anche con questo governo, ora vedrete si stoppano ma sarà solo questione di tempo perché ricomincino”.

C’è poi l’antica questione dell’abusivismo di necessità…
“Certo. Perché si entra in una dinamica che ha poco di urbanistico e molto di politico e ha a che fare con il consenso. Se sei in territori dove hai pressione a cementificare e ti trovi a dover gestire il consenso fai quello che è il vissuto e i desiderata di quella popolazione. Non dimentichiamoci che spesso chi determina le sorti di un territorio, sono i costruttori. Chi costruisce fortifica la tua posizione di opinione pubblica, spesso vi è anche una coincidenza tra operatori immobiliari e proprietari di giornali e il gioco è fatto. Quello che abbiamo provato a fare noi è interpretare il bisogno collettivo, coltivare il consenso in maniera più orizzontale, per il bene comune. Facendoci interpreti di una necessita territorio e comunità”.

Perché l’ambientalismo da noi sembra avere così poca rappresentanza?
“È un tema che viene dibattuto da anni. Io credo che l’ambientalismo in Italia si sia fatto rinchiudere in un recinto che può essere comodo. Io faccio il mio pezzo, divento la foglia di fico rispetto a uno schieramento in particolare (di solito nel centrosinistra) ma i partiti ambientalisti hanno rinunciato a percorrere delle strade alternative, replicano sempre lo stesso modello, quello della crescita, dello sviluppo, con la tendenza a divorare territorio per fare economia e creare opportunità. In Italia i verdi si sono fatti inglobare e non hanno potuto sviluppare una propria visione del mondo e della società che prevedesse un cambio di paradigma. Sinistra e Verdi, ad esempio, hanno preferito il porto sicuro del Pd senza costruire alternativa”.

Ma le grandi opere portano soldi, dicono.
Intanto le grandi opere sono solitamente capital intensive: tanti soldi molto concentrati che vengono fagocitati sempre dai grandi gruppi. Un grande piano nazionale di piccole opere creerebbe più posti di lavoro, più diffusi e più a lungo periodo. L’abbiamo visto con il bonus 110 seppur con tanti limiti: producono opportunità di lavoro.