Fisco, salario minimo e taglio agli stipendi dei parlamentari. Le nuove parole guerriere M5S. Dopo il conclave i Cinque Stelle si rimettono in Movimento. Ecco l’agenda per rilanciare l’azione politica

Fisco, taglio agli stipendi dei parlamentari, salario minimo, conflitto d’interessi, referendum propositivo. Il M5S prova a ripartire da qui. Da riforme che coincidono con temi identitari come la crociata contro i costi della politica e la lotta alla povertà. Perché al di là del processo a Rousseau e delle questioni sulla leadership, i big, riuniti lunedì in conclave, hanno capito che, per ridare slancio al Movimento, occorre muovere dai contenuti. Ecco dunque il rilancio sul fisco.

TASSE EQUE. “Bisogna avviare una riforma fiscale che vada incontro alle esigenze degli italiani e delle imprese. E sono contento che su questo tema ci sia la convergenza delle forze di maggioranza”, dichiara l’ex capo politico Luigi Di Maio. Il numero uno della Farnesina, nel corso della campagna elettorale per sostenere la sforbiciata del numero di deputati e senatori, ha rinnovato la volontà di procedere sul taglio ai loro stipendi: “C’è chi dice che occorre tagliare gli stipendi dei parlamentari, noi lo stiamo facendo da tempo e se vogliamo fare una legge siamo prontissimi”. Dopo aver portato a casa il Reddito di cittadinanza il M5S è intenzionato a difenderlo. Certo, riconosce Di Maio, gli si può fare un tagliando ma nessuno si sogni di abolirlo.

SALARIO MINIMO. Altro cavallo di battaglia storico è il salario minimo. Il M5S presentò un ddl: prima firmataria la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo. Il progetto si è impantanato nelle sabbie mobili parlamentari e ora si spera che, dietro l’input di Bruxelles, possa riprendere slancio. Il governo è ritornato a parlarne nelle linee guida del Recovery plan. Sono almeno 5 milioni i lavoratori italiani poveri. Conflitto d’interessi. Si tratta di una legge più volte rilanciata da Di Maio, ma che la Lega quando governavano assieme non ha mai considerato prioritaria. Il Movimento ha presentato diverse proposte di legge.

Quella calendarizzata lo scorso anno ha come prima firmataria Anna Macina. La proposta definisce l’incompatibilità delle cariche di governo (statali e locali) e dei componenti delle Autorità di garanzia e vigilanza con la proprietà, il possesso o la disponibilità di partecipazioni superiori al 2 per cento del capitale sociale di un’impresa che svolga la propria attività in regime di autorizzazione o concessione rilasciata dallo Stato, dalle regioni o dagli enti locali, di un’impresa che sia titolare di diritti esclusivi o operi in regime di monopolio, di imprese che operino nei settori della radiotelevisione e dell’editoria o della diffusione tramite internet, nonché di altre imprese di interesse nazionale. E prevede sanzioni fino a un milione per chi non si adegua. Una proposta a firma Francesco Silvestri stabiliva invece che parlamentari, membri del governo e consiglieri regionali non potessero svolgere attività di rappresentanza di interessi per un certo periodo dopo la fine del mandato.

INIZIATIVA POPOLARE. Era giunto all’esame del Senato il testo trasmesso dalla Camera – che l’aveva approvato in prima lettura il 21 febbraio 2019 – il disegno di legge costituzionale che modifica l’istituto delle leggi d’iniziativa popolare e introduce il referendum propositivo. Il ddl (primo firmatario Francesco D’Uva) prevede per l’iniziativa legislativa popolare una procedura ‘rinforzata’, ossia tale da concludersi (al verificarsi di alcune condizioni di ammissibilità) con lo svolgimento di una consultazione referendaria. Questo, qualora l’iniziativa legislativa popolare sia sorretta da un numero di sottoscrizioni di almeno 500mila elettori. Innanzi all’iniziativa legislativa popolare qualificata (ossia recante almeno 500mila sottoscrizioni), si prevede che non rimanga esclusiva la potestà legislativa del Parlamento.

Infatti, in tal caso il Parlamento: o ‘ratifica’ quel progetto di legge popolare, entro 18 mesi dalla sua presentazione; o modifica in modo “non meramente formale” quel progetto di legge, e allora sono i “promotori” dell’iniziativa legislativa popolare a ‘disporre’ dell’ulteriore procedimento, o accettando la deliberazione parlamentare modificativa o persistendo nell’attivazione del referendum. “Dobbiamo fare uno scatto in più per introdurre strumenti di democrazia deliberativa. Per noi il referendum propositivo è una priorità”, ha detto il presidente della commissione Affari costituzionali alla Camera, Giuseppe Brescia.