Flotilla, Crosetto allude alle acque israeliane, ma quelle davanti a Gaza sono territorio palestinese: lo dicono le convenzioni e le risoluzioni Onu

Crosetto parla di “acque israeliane”, ma il diritto del mare e i documenti Onu dicono altro: palestinesi entro le 12 miglia dalla costa

Flotilla, Crosetto allude alle acque israeliane, ma quelle davanti a Gaza sono territorio palestinese: lo dicono le convenzioni e le risoluzioni Onu

Guido Crosetto oggi, parlando alla Camera, ha dichiarato che l’Italia non potrà garantire la sicurezza della Global Sumud Flotilla se entrerà «nelle acque di un altro Stato, che considera questa operazione quasi un atto ostile». L’altro Stato in questione è, ovviamente, Israele. Una frase detta con l’aria di chi mette un punto fermo, e che invece rivela la disinvoltura con cui questo governo ribalta il diritto internazionale per coprire la strategia di Israele. Perché quelle acque, davanti a Gaza, non sono israeliane. Non lo sono mai state e nessuna risoluzione delle Nazioni Unite ha mai riconosciuto tale status.

La Convenzione Onu sul diritto del mare del 1982 stabilisce che ogni territorio costiero possiede dodici miglia nautiche di mare territoriale. Gaza, pur privata della possibilità di esercitare una piena sovranità a causa dell’occupazione militare, resta territorio palestinese riconosciuto dalle Nazioni Unite e, dunque, ha diritto a quel tratto di mare. Subito oltre cominciano le acque internazionali, delle quali nessuno Stato può appropriarsi. Considerarle acque israeliane significa riscrivere le carte geografiche e pretendere che la forza sostituisca il diritto.

Le sentenze dimenticate e la propaganda del governo

Il blocco navale imposto da Israele è stato più volte condannato. La risoluzione 1860 del Consiglio di Sicurezza nel 2009 ne ha chiesto la fine. Dopo l’assalto alla Mavi Marmara nel 2010, in cui furono uccisi attivisti in acque internazionali, la missione d’inchiesta del Consiglio per i diritti umani qualificò l’intervento come illegale. Nel 2024 la Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato a Israele di garantire il libero accesso degli aiuti umanitari a Gaza. Queste decisioni non sono dettagli secondari, ma definiscono il perimetro che separa la legalità dall’arbitrio.

Giorgia Meloni, a New York per l’Assemblea generale dell’Onu, ha definito la Flotilla «un’iniziativa irresponsabile», mentre Antonio Tajani prova a mascherarsi da mediatore, chiedendo a Israele di assicurare l’incolumità degli italiani imbarcati. Nessuno dei due ha usato l’espressione “acque israeliane”. È Crosetto a spingersi oltre, a fare da interprete zelante del linguaggio di Tel Aviv. Che le sue parole siano una svista? Di sicuro, legittimano il blocco e trasferiscono nel linguaggio diplomatico l’idea che Gaza sia mare chiuso e che Israele abbia il diritto di respingere chiunque vi si avvicini.

Una resa preventiva spacciata per diplomazia

Intanto il governo annuncia l’invio di un’altra fregata, l’Alpino, che si aggiungerà alla Fasan. Ma la missione non ha lo scopo di garantire il passaggio degli aiuti: il compito delle navi italiane è limitarsi a proteggere e ad assistere i cittadini italiani a bordo.

La realtà resta semplice. Le navi umanitarie navigano in acque internazionali, con destinazione un territorio che ha diritto al suo mare. Non violano alcuna legge. Chi le attacca commette un atto di guerra. Considerare quelle acque israeliane significa riprodurre la propaganda di uno Stato che usa la forza per trasformare l’occupazione – della terra e del mare – in sovranità.

E ogni volta che un rappresentante del governo italiano lascia intendere che quelle acque siano israeliane, un pezzo della nostra credibilità internazionale affoga.