Fuoco di sbarramento nella maggioranza sul caso degli F-35

di Lapo Mazzei

F-35. Messi così, in fila, sono solo una lettera e un numero. In realtà sono il titolo del tema che rischia di mandare in tilt non solo il governo, ma la fragile maggioranza (ieri di larghe intese oggi di ristrette pretese) che sta dietro l’esecutivo guidato da Enrico Letta. Perché quel sostantivo alfa numerico significa aerei da combattimento. Anzi, per essere esatti si tratta del Lockheed Martin F-35 Lightning II, un caccia di quinta generazione monoposto, a singolo propulsore, con ala trapezoidale a caratteristiche Stealth, che può essere utilizzato per supporto aereo, ritenuto strategico per il nostro modello di difesa. E qui occorre aprire una breve parentesi tecnica necessaria, però, per comprendere la reale portata del problema. Di questo aereo esistono tre versioni: una variante a decollo e atterraggio convenzionale (F-35A – Conventional Take Off and Landing), una variante a decollo corto e atterraggio verticale, per portaerei di dimensioni ridotte come la nostra Cavour, (F-35B Short Take Off And Vertical Landing) e una variante per l’uso sulle portaerei convenzionali a catapulta (F-35C – Catapult Assisted Take Off But Arrested Recovery). La nostra Marina militare dispone di ben due portaerei: oltre alla Cavour abbiamo la Garibaldi. E queste navi da guerra, senza velivoli efficaci ed efficienti, sono pressoché inutili. Davvero possiamo permetterci di non portare a compimento il progetto F-35? Una domanda che necessita di una duplice risposta, politica e militare. Dal punto di vista del dibattito parlamentare, un po’ per questioni di austerità, un po’ per pulsioni pacifiste, la questione dei 90 mezzi che l’Italia dovrebbe comprare (con la possibilità che diventino 131) sta agitando le acque nel governo. Mentre la mozione sull’acquisto dei caccia è slittata ad oggi, a far discutere sono le parole del ministro degli Affari regionali, Graziano Delrio, che nel corso di un videoforum ha bocciato l’acquisto degli aerei. «Non si può dire che sia semplicissimo, ma dobbiamo fare di tutto per recuperare risorse per l’emergenza vera che non è quella della difesa, ma del lavoro per i giovani. Non ha senso spendere risorse nel comparto militare. Secondo me», sostiene l’esponente del Pd, «bisogna fare un’ulteriore istruttoria, si può rimodulare questa spesa, ma ci sono diverse implicazioni di lavoro, industria, accordi internazionali. Ma credo che una revisione andrebbe fatta». Parole che hanno fatto discutere, provocando una girandola di reazioni, tanto che lo stesso Delrio è dovuto intervenire per precisare di essersi riferito «al contesto più ampio che guarda all’Europa» e alla «prospettiva auspicabile degli Stati Uniti d’Europa, dove ha senso una difesa comune, rispetto a una forza nazionale». Già, ma siccome in questo campo il futuro è ancora lontano, il nodo resta tutto interno. Da parte sua il ministro della Difesa, Mario Mauro, ha frenato bruscamente. «Non ho partecipato a nessun Consiglio dei ministri nel quale il governo abbia cambiato posizione. Pd e Pdl quando erano separati hanno votato gli F35 e mi sembrerebbe strano che ora da uniti non li votino più», ha affermato il responsabile del dicastero investito in pieno dalla polemica. «In passato anche Rifondazione comunista era d’accordo».

Sospendere o riflettere?
Eh sì, perché la storia degli F-35 parte da lontano e riguarda tutti i governi degli ultimi 20 anni. Un progetto di questo tipo, che vede coinvolti vari Paesi, va costruito nel tempo, pensato con l’evolversi delle condizioni e adattato alle circostanze. Al punto che un po’ tutti sono consapevoli del fatto che un esercito senza armi non serve. Ciò che occorre è calibrare il passo. E se il coinvolgimento nel parto del progetto F-25 viene smentito dagli interessati (il segretario di Rifondazione Ferrero nega che il Prc abbia mai votato a favore degli F35), resta il fatto che la questione si fa piuttosto ingarbugliata. Sul fronte del no particolarmente attivo c’è il deputato del Pd Pippo Civati, secondo il quale si potrebbe dire «sospendiamo, in vista di una riduzione, l’acquisto degli aerei da guerra anche per dare un segnale: ci ragioniamo bene in Commissione Difesa e a settembre facciamo un regalo agli italiani che risparmiamo qualche soldo. A me sembra una cosa che si può fare, così come del resto avevamo stabilito in campagna elettorale». Sulla stessa lunghezza d’onda Sel, Verdi e Italia dei Valori. Più tiepido il Pdl, che oscilla fra l’assenso all’acquisto e la volontà di dare un segnale. In vista del voto di oggi, comunque, tutte le diplomazie parlamentari sono al lavoro. All’esame c’è una mozione Sel-M5S sostenuta anche da un gruppo di deputati del Pd. Si lavora, però, per una mozione di maggioranza che chieda un’indagine conoscitiva e la sospensione del programma degli F-35 per un periodo di almeno sei mesi. Tutto questo mentre dall’America arrivano nuovi dubbi sull’F-35 dopo che il responsabile delle operazioni navali, ammiraglio Jonathan Greenert, ha detto al Congresso di Washington che l’F-35C capace di atterrare e decollare dalle portaerei è in ritardo di sviluppo. L’F-35C non sarà pronto per l’uso operativo prima del 2018, e anche i cinque anni che mancano da qui ad allora potrebbero non bastare. E allora che fare? Sospendere tutto, all’italiana, o riflettere? Meglio, forse, la seconda ipotesi. Anche perché potremmo dotare di migliori attrezzature le nostre forze di terra impegnate nelle missioni internazionali. Finendo, magari, con il vendere una delle due portaerei ferme in rada a Taranto.