Gasolio riciclato dalla Libia. Un affare da trenta milioni. Carburante rubato dall’Isis e rivenduto in Italia

Un affare gigantesco dove in mezzo c’è il petrolio, l’Isis, Malta e persino Cosa nostra. Ecco tutti i dettagli delle indagini

Un affare gigantesco dove in mezzo c’è il petrolio, l’Isis, Malta e persino Cosa nostra. Nell’associazione a delinquere, che ha portato all’arresto di nove persone, tra cui quattro italiani oltre l’amministratore delegato della società MaxCom, Marco Porta, non mancava proprio niente. Il sistema era semplice: rubavano il gasolio in Libia e lo immettevano nel mercato italiano ed europeo passando dalla Sicilia. E facevano in modo di occultarne la provenienza creando società schermo a Malta. Il gasolio che la certificazione rigorosamente fasulla dichiarava essere saudita, in realtà era libico, di minore pregio e destinato al brokeraggio. L’operazione, battezzata Dirty oil, coordinata dal procuratore Carmelo Zuccaro, era partita da una denuncia dell’Eni, parte lesa della vicenda.

Evasione dell’Iva – In un anno ottantadue milioni di chilogrammi, per un valore di ventisette milioni di euro, a fronte di un valore industriale di mercato di cinquantuno milioni, hanno raggiunto la Sicilia evadendo così undici  milioni di euro di Iva. Trenta i viaggi monitorati dalle imbarcazioni navali della guardia di Finanza. Il petrolio veniva trafugato dalla raffineria di Zawyia, centro a 40km da Tripoli e trasportato in Italia, dove arrivava nel porto di Augusta via mare scortato dalle milizie libiche guidate da Ben Khalifa, recentemente arrestato dalle autorità, fuggito dal carcere nel 2011 dopo la caduta di Gheddafi. Khalifa sarebbe stato a capo di uomini di stanza nella zona costiera al confine con la Tunisia, mentre tra i quattro italiani fermati oltre a Porta c’è Nicola Orazio Romeo, ritenuto vicino alla famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano. L’inchiesta ordinata dalla procura distrettuale di Catania è stata avviata un anno fa dopo una denuncia di Eni che ha segnalato delle strane anomalie negli impianti di distribuzione carburanti dislocati nel catanese. Due le organizzazioni che lavoravano parallelamente: la prima assicurava che il gasolio rubato lasciasse l’Africa per raggiungere Malta con un trasbordo in mare tramite rifornimenti “ship to ship”.

Società fittizie – La seconda invece curava che il gasolio da Augusta arrivasse fino a Mazzara del vallo per poi essere distribuito capillarmente nei distributori compiacenti. Il prodotto, dopo miscelazioni presso uno dei depositi fiscali della Maxcom di Augusta, Civitavecchia e Venezia, veniva immesso nel mercato italiano ed europeo (Francia e Spagna in particolare) ad un prezzo similare a quello dei prodotti ufficiali pur essendo la qualità inferiore. Il gruppo criminale mirava ad acquisire la disponibilità di un flusso continuo di gasolio libico ad un prezzo ribassato rispetto alle quotazioni ufficiali, garantendo così alla società italiana acquirente un margine di profitto costante e più elevato. Naturalmente per fare tutti i passaggi erano state create società, a più livelli, poste fittiziamente tra venditori e acquirenti finali.