A Verona la cartella clinica ha fatto quello che la politica elude: ha riportato i fatti. Osama, 5 anni, il bambino di Gaza bollato come «fake», è stato dimesso dopo due mesi di cure al Borgo Trento. Era arrivato il 12 giugno con un volo umanitario, 9,2 chili di peso, diagnosi di grave malnutrizione e un deficit immunitario moderato; oggi è attorno ai 14 chili, continuerà profilassi e controlli ambulatoriali. È una storia medica, prima che mediatica.
Per settimane il suo volto è stato trascinato nel gioco della propaganda. L’unità COGAT e lo stesso Benjamin Netanyahu hanno indicato le foto dei «bambini affamati» come costruzioni, citando il caso e minacciando azioni legali contro chi le pubblicava. «Sono tutte false», ha detto il premier, trasformando un referto in un processo d’intenti. Qui, invece, hanno parlato i medici.
«Tra le cause del grave malassorbimento intestinale anche le condizioni imposte dalla guerra», ha spiegato il pediatra che lo ha seguito. Non è un dettaglio: spiega perché un bimbo con comorbidità sia precipitato laddove i farmaci di base, gli enzimi per digerire, il cibo proteico e l’accesso alle cure sono diventati beni rari. Già a maggio Osama era stato fotografato al Nasser Hospital in un ambulatorio per la malnutrizione; e intanto l’ONU registra, solo a luglio, oltre 12 mila casi di malnutrizione acuta sotto i cinque anni, 2.500 gravi. Dati, non slogan.
Questa vicenda dice qualcosa di più largo del singolo caso. Quando i corpi diventano argomenti, la prima vittima è la verità. Gli ospedali, in Italia come a Gaza, sono gli unici luoghi dove il dibattito torna misurabile: peso, esami, terapie, esiti.